sabato 28 giugno 2025

Richard Dawkins

IL GENE EGOISTA

Pubblicato per la prima volta nel Regno Unito nel 1976, "Il gene egoista" ha modificato drasticamente il modo con cui gli scienziati – ma anche i non "addetti ai lavori" – leggono la storia dell'evoluzione. 
Il nocciolo centrale del saggio è oggi parte fondante dell'insegnamento della biologia in tutto il mondo, una logica derivazione del darwinismo che ha scelto di cambiare prospettiva, concentrandosi non sul singolo organismo ma osservando la natura dal punto di vista del gene.
La deduzione scientifica è, per dirla con l'immaginifico linguaggio dell'autore, che noi siamo «macchine da sopravvivenza, robot semoventi programmati ciecamente per conservare quelle molecole egoiste note sotto il nome di geni».
Rivolto a tre tipi di lettori – il profano, lo studente, l'esperto –, questo libro è pensato per stimolare con ironia l'intelligenza di chiunque si chieda qual è il posto dell'uomo nell'universo. Un saggio imprescindibile che riesce a semplificare e rendere accessibili complicati concetti scientifici, senza che ne vada perduta la sorprendente essenza.


L'OROLOGIAIO CIECO

L’evoluzione è cieca: non vede dinanzi a sé, non pianifica nulla, non si pone alcun fine. Eppure, come un maestro orologiaio, ha prodotto risultati di straordinaria efficacia e precisione, organi perfetti e funzioni raffinate in un crescendo di complessità. 
Ricco di sense of humour, L’orologiaio cieco è un classico della divulgazione scientifica contemporanea che costituisce la più completa e chiara spiegazione, rivolta al grande pubblico, della teoria dell’evoluzione e della selezione naturale, oltre che una circostanziata difesa del darwinismo.


Mondadori Editore

mercoledì 11 giugno 2025

Elogio della Sintesi

LUMEN ha scritto: "Temo, a volte, di essere un po’ troppo sintetico. Io adoro la sintesi, ma mi rendo conto che, in certi casi, si può perdere in chiarezza."


Il commento di ALIDA PARDO
<< Le sue parole mi hanno indotta a fare qualche riflessione sulla sintesi. Mi sono chiesta innanzi tutto se la sintesi possa essere eccessiva. In teoria sì. Ma solo quando si interloquisce con gli altri.
Se si usano frasi secche e risolutive, si costringe l’ascoltatore a fare vertiginosi salti indietro nel tentativo di ripercorrere a velocità la strada che ha portato alle conclusioni esposte. Strada che, invece, richiede il suo tempo. L’interlocutore si sente messo davanti a degli assiomi che tende a rifiutare: si sente maltrattato intellettualmente. 
Ma si tratta di comunicazione maldestra, non di eccesso di sintesi. Si rischia di essere poco chiari, come dice lei, perché si è inidonei alla comunicazione, sia sul piano didattico (se si è insegnanti) sia sul piano più genericamente psicologico – o del naturale buon senso – negli altri casi.
La sintesi – trascurando l’accezione filosofica e scientifica della parola e limitandoci al significato corrente – a mio parere non può essere eccessiva perché è un processo mentale.
Come punto d’arrivo di un percorso logico, la sintesi è un momento di gratificazione della mente. L’essere umano può dire alla realtà: “Cara realtà, ho intaccato la tua durezza, ti ho fatta a fettine e alla fine sono riuscito a penetrare la tua essenza. Le mie conclusioni ti inchiodano, ti imprigionano in un punto chiaro e fermo da cui non puoi uscire”. 
La sintesi rappresenta il piacere intellettuale della comprensione. Limitatamente al problema esaminato, ovviamente. Subito dopo comincia un’altra sfida.
Anche la sintesi intesa come “concisione”, “stringatezza”, è un processo mentale. Di solito in chi parla o scrive si rilevano caratteristiche opposte: dispersione espositiva e stagnazioni. E allora, per ripulire il pensiero degli elementi non significativi o devianti, ben venga la sintesi, che rivela grande intelligenza e capacità critica.
Non so dire granché della sintesi in letteratura. Non trovo esempi soddisfacenti. Certo, M’illumino di immenso è una poesia “sintetica”. Ma è poesia? O non è piuttosto un’espressione brillante? A me pare che in Leopardi ci sia molto di più, e non solo perché le sue poesie sono più lunghe.  >>