domenica 29 dicembre 2013

La tana della volpe - 3

CAP. 3 - Mercoledì


- Vi da fastidio se fumo ? - chiese Victoria, trafficando con la mano nella borsetta.
- Purtroppo sì - rispose Ben - Vi sarei grato se non fumaste.
Lei fece un gesto vago con la mano, ma non se la prese.
- OK, d’accordo. Penso di poter resistere per un paio d’ore.
- Oltretutto vi farà anche bene - disse Ben con un sorriso.
- Così dicono – rispose Victoria senza molta convinzione.
Che bella donna, si disse Ben. Anzi, no. Non bella. Che donna attraente ecco. Indossava un tailleur verde brillante, semplice ma grazioso, con una camicetta bianca. Al collo un filo di pietre dure, anch'esse verdi con venature bianche. Un capolavoro di semplicità e di eleganza. E poi gli enormi occhi neri e quel nasino alla francese veramente delizioso. Una donna non più giovanissima, ma decisamente interessante. Si vedeva anche che era un tipo intelligente, pur senza perdere nulla della sua femminilità: bastava vedere come sapeva muoversi. Non per niente era un'attrice.
- Allora, cara signora, come va il teatro ? Cosa state rappresentando di bello ? - chiese tanto per rompere il ghiaccio ed evitare di parlare subito di lavoro.
- E' una commedia leggera di un autore francese - stava dicendo Victoria - Si intitola "Il marito nell'armadio e l'amante sotto il letto". Il titolo dice tutto.
- Direi di sì - disse Ben divertito. - Voi che parte fate ?
- La migliore - disse con gli occhi che sorridevano maliziosi.
- Cioè ? - chiese Ben anche se sapeva già benissimo la risposta. Victoria agitò la mano destra.
- Quella della moglie traditrice, ovviamente.
- Quella col marito nell'armadio e l'amante sotto il letto. – commentò Ben.
- O viceversa - concluse lei.
- O viceversa, certo.
Victoria si rabbuiò di colpo.
- Purtroppo a volte la realtà imita la fantasia. Io mi diverto a fare l'adultera in una commedia e forse mio marito fa lo stesso con me. Ma sul serio.
Ecco, ci siamo, si disse Ben.
  • Immaginavo qualcosa di simile. Pico – disse rivolto al computer – Preparati a prendere appunti.
  • SONO PRONTO.
  • E' attore anche vostro marito ? – continuò Ben.
- No, tutt'altro. Matt è funzionario di Banca. Lavora alla Eastern National Bank di Nelson.
  • Si chiama Matt Alexander ?
- No, Matt Bullard. Alexander è il mio cognome da ragazza e l'ho conservato per motivi di lavoro. Avevo incominciato la carriera di attrice prima di sposarmi e ho preferito mantenere il mio nome. Fanno tutte così nel nostro ambiente.
- Beh, è logico. Mi dicevate di vostro marito. Perchè avete cominciato a dubitare di lui ?
In poche parole Victoria raccontò a Ben quello che era successo due giorni prima, quando aveva telefonato a casa e non lo aveva trovato, e suo marito le aveva mentito senza nessun motivo apparente.
- E' la prima volta che vi succede una cosa simile ?
- Sì.
- Allora non vi sembra di allarmarvi un po' troppo ?
- Non credo. Tenete presente che con il lavoro che faccio ho orari molto diversi dai suoi. A casa insieme ci stiamo ben poco, per cui può avere molte occasioni di tradirmi senza che nemmeno me ne accorga. Adesso poi sono ancora più impegnata perchè invece delle prove abbiamo lo spettacolo vero e proprio.
- Comunque non avevate mai avuto sospetti in passato.
- No, questo no. D'altra parte come spieghereste, voi, la bugia dell'altro ieri ?
  • Difficile dire. Ma è inutile fare congetture. Basterà pedinarlo per un po' di giorni e se c'è sotto qualcosa di sospetto, stia certo che salterà fuori. Pensate che vostro marito sappia che voi sospettate qualcosa ?
- No, non credo.
- Meglio. Non prenderà precauzioni particolari e sarà tutto più semplice.
- Non avrei mai immaginato di dover dubitare di Matt, credetemi.
- Ma voi e vostro marito andate d'accordo ?
- Si. – disse Victoria stringendosi nelle spalle - Direi proprio di sì.
- Nessuno screzio, di recente ?
- No. E' per questo che sono stata maledettamente stupita da quello che è successo.
- Però mi dicevate che avete orari un po' diversi. Forse vi vedete poco in casa.
- Beh, sì è vero.
- E state poco insieme la notte...
- Sì, capita spesso.
- Non sarà che suo marito si sente trascurato ?
Avrebbe voluto chiederle quante volte facevano l'amore, ma si trattenne, per non metterla in imbarazzo. Comunque la sua ospite era un tipo sveglio e aveva già capito tutto.
- Non direi proprio - disse con tono un po' sostenuto - E comunque non credo che la cosa vi riguardi direttamente.
Ben allargò le braccia.
  • Io devo fare il mio mestiere. Più cose so, meglio lavoro.
  • Sì, avete ragione anche voi.
- A parte questo, ho bisogno di sapere una serie di cose su vostro marito. Dove lavora, gli orari che fa, i suoi amici più intimi...
Victoria sospirò. Si capiva che era un tipo riservato e che non le piaceva parlare di sè o della sua famiglia con degli estranei. Però aveva bisogno di aiuto e Ben Wallace doveva fare il suo lavoro. Non si può pedinare bene una persona, senza sapere più cose possibili su di lei.
- D'accordo. Ne avete tutto il diritto.
Andarono avanti per una ventina di minuti, mentre Pico memorizzava tutto. Alla fine Ben fece un sospiro e si appoggiò allo schienale della poltroncina.
- Per me può bastare.
- Bene. Ne avevo abbastanza anch'io - disse Victoria sollevata. Prese la borsetta, la aprì e ne tirò fuori il libretto degli assegni - E adesso parliamo di "vil denaro". Quanto vi lascio come anticipo ?
Ben si strinse nelle spalle.
- Fate voi.
- Non ho problemi si soldi, state tranquillo. A fare l'attrice si guadagna bene. Bastano 500 dollari ? 
- Vada per 500 dollari.
Victoria prese una penna placcata d'oro, compilò l'assegno e glielo porse. Ben lo preso, lo guardò distrattamente, poi un pensiero lo colpì all'improvviso e sorrise.
- Temo che cinquecento dollari non bastino.
- Perchè ? - chiese lei più stupita che arrabbiata.
- Diciamo 500 dollari più... 1 biglietto per lo spettacolo.
Victoria tornò a sorridere.
- Certo, perdiana. Ci mancherebbe. Quando vorreste venire ?
- A che ora inizia lo spettacolo ?
- Alle sette e mezzo. E dura circa 2 ore.
- Allora va benissimo per domani sera.
- Cercherò di dare il meglio del mio repertorio.
- Sono pronto a scommettere che siete bravissima - disse Ben guardandola negli occhi. Victoria si strinse nelle spalle, come per schernirsi, ma si vedeva che era contenta per quei complimenti, e sinceramente orgogliosa di sè.
- Così dicono gli altri. Diciamo che me la cavo.
Posò il libretto degli assegni e la penna nella borsetta e frugò ancora alla ricerca dei biglietti. Ne estrasse uno e lo consegnò a Ben.
- E’ un tagliando omaggio. Lo presentate al botteghino e vi danno il biglietto senza pagare. Se arrivate per tempo, potete scegliere uno dei posti migliori, quelli vicini al palcoscenico.
- Cercherò di arrivare in tempo.

* * * * *

L'interfono sulla scrivania ronzò leggermente. Vim Baker schiacciò il tasto di ascolto.
- Dottor Baker ? - disse la segretaria.
- Si ? - Vin Baker non era dottore, ma in municipio tutti lo chiamavano così, per compiacerlo.
- C'è qui il signor Weatherspoon, quel giornalista del "Globe" che ieri aveva preso appuntamento.
Il "Globe" era uno dei giornali che più si stavano accanendo contro di lui. Nell’ultimo numero preannunciavano un'inchiesta sensazionale sulle sue malefatte e quindi dovevano avere già parecchio materiale per le mani. Evidentemente volevano anche qualche dichiarazione fresca della "vittima" per poter montare meglio il servizio. Ma lui se ne poteva anche fregare di tutto questo. I giornalisti non gli avevano mai fatto paura. Figuriamoci un "tappo" come Weatherspoon
- OK, fallo salire - disse. Poi spense l'interfono e si appoggiò allo schienale della poltroncina ad aspettare.
Il problema ormai non erano più i giornalisti. Il problema era che finalmente era successo quello che doveva succedere. Il procuratore distrettuale gli aveva telefonato, subito dopo pranzo, per fissare un colloquio con lui. Un colloquio informale, per il momento, visto che si conoscevano da tanto tempo ed erano quasi amici. Ma questo dimostrava che l'inchiesta era ormai avviata. Il procuratore avrebbe usato tutto il tatto di cui disponeva, avrebbe fatto qualche domanda discreta, fingendo di accontentarsi delle risposte evasive che lui gli avrebbe dato. Ma non si sarebbe fermato lì. Avrebbe proseguito nelle indagini e per lui sarebbe stata la fine.
Vim Baker fece mentalmente un po' di conti. L'appuntamento era fissato per venerdì pomeriggio. Poi c'era il week-end, poi il procuratore avrebbe perso ancora qualche giorno per cercare altre notizie, recuperare documenti, interrogare altre persone. Aveva ancora qualche giorno di tregua, diciamo una settimana a voler essere prudenti, ma non di più. Era inutile illudersi. Ormai era venuto il momento di tenersi pronto per il suo piano di emergenza. Alcuni leggeri colpi alla porta lo risvegliarono dai suoi pensieri e un cappello nero con la visiera fece capolino dallo spiraglio. Era l'usciere.
- Il signor Weatherspoon del "Globe".
Baker fece un cenno di assenso con il capo e l'usciere si fece da parte. Clarence Weatherspoon entrò con passo di carica, camminando leggermente sulle punte, come faceva sempre, per cercare di sembrare un po' più alto e importante dei suoi 158 centimetri. Anche il nome pomposo e reboante serviva perfettamente allo scopo. Comunque tutti dovevano riconoscere che la grinta non gli mancava. Baker si alzò per stringergli la mano, non tanto per cortesia, quanto per sottolineare la sua statura e la sua imponenza. Era quasi il doppio del suo interlocutore, il quale, peraltro, non ne sembrava particolarmente intimidito. Abitudine professionale: se sei alto 1,58 e sei uno che si lascia intimidire, non puoi certo fare il giornalista d'assalto.
- Signor Baker, come state ? - Weatherspoon sapeva che a Baker piaceva sentirsi chiamare dottore senza esserlo, e di proposito non lo faceva.
- Benissimo ! - disse Baker sfoderando il suo miglior sorriso. Ormai aveva deciso di abbandonare la nave che stava affondando. Tanto valeva divertirsi un po' con quel figlio di buona donna.
- Non sembrerebbe. Ho saputo che il procuratore distrettuale vuole vedervi.
E questo, come diavolo fa a saperlo, si chiese Baker.
- Un semplice incontro tra amici - minimizzò.
- Non è per caso per via di quella denuncia per corruzione ?
- Certo, parleremo anche di quello. Ma credo che verrà sicuramente archiviata. Non ho nulla da nascondere, io - disse Baker placido.
Weatherspoon si agitò un po' sulla sedia, cercando di rimanere sempre ben eretto, per non scomparire dietro alla scrivania massiccia di Baker.
- Eppure stiamo raccogliendo un bel po' di notizie su di voi e sui vostri metodi - disse brutalmente.
- Beh, è il vostro mestiere. Ma non troverete niente di scorretto o di poco pulito.
Diavolo, pensò Weatherspoon, o è un commediante di prim'ordine o è veramente estraneo a tutto questo. No, non può essere estraneo. Ha semplicemente un sangue freddo eccezionale. Ma non gli basterà, finirà nella polvere anche lui, come tanti altri.
- Non vi illudete. Da domani incominceremo a pubblicare la nostra inchiesta. Abbiamo già un bel po' di materiale e altro ne raccoglieremo man mano.
- E allora cosa volete da me, esattamente ?
Weatherspoon indicò il piccolo bloc-notes che teneva in mano.
- Qualche dichiarazione per i nostri lettori.
“Che vadano tutti a farsi fottere”, pensò Baker tra sè. Ecco una bella dichiarazione che avrebbe potuto fare, in esclusiva, per i lettori del "Globe". L'idea lo fece sorridere, ma si trattenne.
- Posso solo dichiarare che sono estraneo a tutte le accuse e che il prossimo anno mi candiderò di nuovo per le elezioni. Ma di questo c'è tempo per parlare.
Weatherspoon inarcò un sopracciglio, poi scrollò il capo per esprimere la sua incredulità.
- Voi non arriverete alle prossime elezioni.
- Vedremo, vedremo. Adesso, se non vi dispiace, avrei del lavoro che mi aspetta.
Weatherspoon si rimise la penna nel taschino, infilò il bloc-notes nella tasca della giacca e si alzò.
- Vi consiglio di leggere il "Globe" dei prossimi giorni. Parleremo molto di voi.
- Ah, ma io lo leggo sempre, il "Globe" - rispose Baker tranquillo - E' un giornale molto interessante.
Weatherspoon girò sui tacchi e uscì dalla stanza. Baker lasciò passare qualche minuto, poi alzò il telefono e fece un numero. Rispose una voce d'uomo.
- Vermont a South Dakota - disse Baker.
- Sono io.
- Sarà per la prossima settimana.
- Lo immaginavo.
- Ti dirò il giorno esatto appena possibile.
- D'accordo.
- Ci sentiamo.

domenica 22 dicembre 2013

La tana della volpe - 2

CAP. 2 - Martedì

Erano le otto e mezza appena passate quando Ben Wallace, uno dei migliori investigatori privati di Bristow, entrò nel suo studio. Era un nero di circa quarant’anni, col fisico ancora atletico e una altezza non comune. Ben sedette alla scrivania, guardò l'orologio alla parete e vide che era già l’ora del notiziario alla radio. Tanto valeva sentire le ultime novità.
- Pico, - disse rivolto al suo computer - accendi la radio sulla stazione del notiziario. 
- PROVVEDO SUBITO
La voce leggermente metallica di un'annunciatrice si disperse per la stanza:
"… creando una situazione di grave allarme. Il segretario di Stato, da parte sua, ha assicurato che il governo federale farà tutto il possibile per affrontare e risolvere il problema… Passiamo ora alle notizie locali ....Vasta eco ha ottenuto la voce secondo cui un imprenditore di Nelson avrebbe denunciato Vim Baker, sindaco della città, per tentata corruzione L'ufficio del procuratore distrettuale, per ora, si rifiuta di rilasciare qualsiasi dichiarazione, ma non ha nemmeno smentito ufficialmente la notizia. Secondo quello che abbiamo potuto appurare, l'imprenditore che ha presentato la denuncia, il cui nome per ora rimane anonimo, avrebbe precisato che non si tratterebbe di un caso isolato, ma che la corruzione regnerebbe sovrana da molto tempo al municipio di Nelson."
- Non mi stupisce - commentò Ben tra sé e sé - Quel Baker non mi era mai piaciuto. E farà anche una brutta fine, me lo sento.
"...in attesa di ulteriori sviluppi. Se ci saranno novità di rilievo nella vicenda, vi terremo informati nei prossimi notiziari. Un breve stacco pubblicitario, poi daremo la parola al nostro esperto per le notizie sportive."
- Pico, passa a un canale di musica. 
- PROVVEDO SUBITO.

* * * * *

Ben Wallace stava lavorando da meno di mezz’ora, quando squillò il telefono.
- Wallace investigazioni, buongiorno. - disse Ben.
- Il signor Wallace ?
- Sono io.
- Mi chiamo Victoria Alexander, abito a Nelson e ho bisogno del vostro aiuto.
- Bene, ditemi pure.
- Si tratta di mio marito. Presumo che la vostra agenzia faccia anche pedinamenti.
- Se necessario, sì.
- Ho paura che...
Victoria si interruppe senza finire la frase. Questa è la classica moglie che teme il tradimento del marito, si disse Ben, ma tenne il pensiero per sè.
- Dite pure, signora... - la sollecitò Ben.
- No. Non riesco a parlare di certe cose per telefono. Devo spiegarle di persona. Posso venire lì da voi ?
- Certamente. Venite quando volete.
- E' che non ho molto tempo libero, in questo periodo. Sono attrice, sapete, e sto lavorando.
- Ma guarda ! Siete una persona importante, allora.
- Non prendetemi in giro. Non conoscevate neanche il mio nome.
- Voi siete attrice di cinema o di teatro ?
- Di teatro. Lavoro allo stabile di Nelson.
- Allora non dovete stupirvi. Purtroppo frequento poco il teatro. Più che altro è una questione di pigrizia.
Victoria ebbe un leggero sorriso.
- Vi andrebbe bene domani, nel primo pomeriggio ?
- Direi di sì. - rispose Ben – Facciamo alle tre ?
- D’accordo per le tre. Allora ci vediamo domani. 
- A domani.

* * * * *

Christian Laettner si alzò lentamente dalla scrivania del suo studio e si avvicino pensieroso alla finestra. Laettner era ormai piuttosto anziano, molto magro, con la fronte rugosa e le orecchie a sventola. Un ometto che a vederlo non lo avresti degnato di nessuna considerazione. Invece era il più bravo fiscalista di Bristow, con un grande studio pieno di associati e di segretarie.
E, cosa ancora più importante, era socio fondatore nonchè attuale presidente della Atlantic Trust, una piccola banca privata della zona. La banca andava abbastanza bene, ma era piccola e Laettner si rendeva conto che c’era bisogno di forze fresche nella società, di sangue nuovo che potesse garantire un futuro di sviluppo. E proprio questo era il motivo dei suoi pensieri: un giovane finanziere di nome Sam Cassell.
Cassell era appena stato da Laettner e aveva parlato a lungo con lui, proponendosi come nuovo socio della Banca. Offriva un buon numero di milioni per acquistare un piccolo pacchetto di azioni, ed entrare come socio di minoranza nella banca. In cambio però voleva la carica di vice-presidente operativo. Sam Cassell aveva poco più di quarant'anni, ed aveva fatto una notevole fortuna con investimenti azzeccati in vari settori economici. Era ricco, capace, competente. Sapeva parlare bene e aveva dato di sè un immagine più che ottima. Laettner aveva dovuto sinceramente ammirare la sua abilità. Ma l'uomo non lo convinceva. C'era qualcosa in lui che gli faceva pensare ad un arrivista senza scrupoli. E loro non potevano permettersi di dare la banca in mano ad un tipo così.
Il sole stava incominciando a salire e il cielo, azzurro e terso, senza una nuvola, offriva uno spettacolo incomparabile. Ma Laettner, preso nei suoi pensieri non riusciva quasi ad accorgersene. Cassell era stato molto garbato e ragionevole. Aveva presentato le proprie credenziali, illustrato le sue consistenze patrimoniali, illustrato con dovizia di particolari i bilanci delle sue società finanziarie. E, ben conscio della delicatezza della sua richiesta, aveva lasciato a Laettner tutto il tempo che voleva per prendere una decisione. Era stato tranquillo e sicuro di sè. Ma, maledizione, non riusciva a convincerlo.
Laettner tornò sospirando alla scrivania. Doveva assolutamente saperne di più su quel tizio. L'indomani c'era il consiglio di amministrazione e c'erano altre cose più urgenti da discutere. Ma appena possibile avrebbe dovuto parlarne con gli altri soci. E non poteva parlarne con loro senza essersi prima chiarito le idee su Sam Cassell. Ci avrebbe pensato giovedì.

domenica 15 dicembre 2013

La tana della volpe - 1

CAP. 1 - Lunedì


Era un caldo pomeriggio di settembre, uno dei più caldi che Bristow avesse avuto da parecchi anni. Il cielo era sempre sereno e l'aria mite, addirittura tiepida anche nelle ore notturne. Victoria Alexander sedette davanti allo specchio del camerino e iniziò a prepararsi per il trucco. Aveva ancora più di un'ora di tempo, perchè fino alle sette e mezzo non sarebbero andati in scena, ma a lei piaceva fare le cose con calma. Le piaceva truccarsi (un po' meno struccarsi, a dire il vero) e faceva quasi tutto da sola.
Il teatro di Nelson non era uno dei più importanti in assoluto, ma aveva una sua fama, soprattutto per gli spettacoli brillanti. Era stato costruito quasi un secolo prima e aveva tenuto a battesimo molti attori giovani che poi sarebbero diventati "qualcuno" nel mondo del teatro americano. Per questo, il fatto di essere riuscita a entrare nella compagnia stabile del teatro di Nelson era stato per Victoria motivo di notevole soddisfazione. Un traguardo importante della sua carriera di attrice.
Victoria Alexander aveva poco più di 40 anni ed era un tipo molto giovanile. Il corpo era ancora snello, pur senza essere esile, e lei lo curava molto perchè sapeva bene quanto fosse importante, nel suo mestiere, l'aspetto fisico. Il viso non era bellissimo, ma interessante, con grandi occhi neri e un nasino alla francese che tanto piaceva ai suoi ammiratori.
Adesso stavano rappresentando una commedia brillante di un autore francese che si intitolava "Il marito nell'armadio e l'amante sotto il letto" e che lei trovava molto divertente. Era una classica farsa dell'ottocento, con tutto l'armamentario tipico delle situazioni del genere: mogli traditrici, mariti cornuti, servette ficcanaso e scambi di persone. Il tutto però con dialoghi fini, spiritosi e mai di cattivo gusto. Un bello spettacolo insomma. E la gente se ne era accorta, perchè facevano il tutto esaurito quasi tutte le sere.
Victoria incominciò a spalmare il cerone sulla guancia destra quando fu folgorata da un pensiero improvviso: era uscita di casa in fretta e si era dimenticata di programmare il videoregistratore. Maledizione, borbottò tra sè. Proprio quella sera c'era un dibattito sul problema dell'aborto, un argomento che la interessava molto a livello personale, e voleva assolutamente vederlo. Stava già per lasciarsi andare a qualche sconveniente parolaccia, quando le venne in mente che poteva benissimo lasciare l'incarico a Matt, suo marito. Matt sarebbe ritornato dall'ufficio molto prima dell'inizio del programma, quindi non c'era problema. Guardò l'orologio: le sei e venti. Prese il telefono e formò il numero della Eastern National Bank di Nelson.
- Eastern National Bank, buonasera - disse una voce femminile molto professionale.
- Vorrei parlare col dottor Matt Bullard dell'ufficio Titoli. Sono la moglie.
- Un attimo prego.
Passarono una decina di secondi, poi la voce riprese.
- Mi dispiace, ma il dottor Bullard è già uscito mezz'ora fa. Dovreste trovarlo a casa.
- Grazie.
Strano, si disse Victoria. In genere è costretto a fermarsi in ufficio fino a tardi. In questi giorni, poi, che io non ci sono, non ha neanche la prospettiva di rientrare prima per cenare con me. Può lavorare fino a tardi senza problemi, tanto poi deve passare la serata da solo. Povero Matt, pensò Victoria. Ultimamente lo sto trascurando un po'. Purtroppo il mio lavoro ha di questi orari sballati, mentre lui fa la vita di una persona normale. E quando mai possiamo incontrarci come si deve ? Pensò all'ultima volta che erano riusciti a fare l'amore. Erano passati quasi due mesi. Per forza ! Lei era sempre in teatro, la sera, e quando tornava a casa, alle due o alle tre di notte, era così tardi che lui dormiva già.
Victoria Alexander rialzò il telefono e fece il numero di casa. Abitavano abbastanza vicini alla sede della banca e sicuramente Matt era già rientrato. Il telefono diede il segnale di libero, ma nessuno rispondeva. lasciò squillare a vuoto per un po' poi riattaccò. Che strano, si disse Victoria. Non è più in ufficio e non è ancora a casa. Magari è andato a fare qualche commissione. Niente di male, concluse guardando l'ora, avrebbe richiamato più tardi. Victoria riprese il suo lavoro col cerone e continuò a ripassare mentalmente la parte.

* * * * *

Vim Baker posò il telefono con un gesto stizzoso. Aveva appena finito di parlare con un giornalista e da quello che gli aveva detto, ma ancora più da quello che "non" gli aveva detto, aveva capito che qualcosa stava bollendo in pentola. Baker aveva 55 anni, era alto e piuttosto corpulento, ma ancora forte e vigoroso. Era afflitto da una notevole calvizie, che cercava di compensare psicologicamente con un folto paio di baffi, di cui andava (giustamente a dire il vero) assai orgoglioso.
Di nome si chiamava Vim, un nome piuttosto strano che non sapeva bene dove fossero andati a pescare i suoi genitori. Molta gente infatti lo chiamava erroneamente Vin, convinta che fosse semplicemente il diminutivo di Vincent. Ma non era vero. Lui cercava ogni tanto di farlo presente, ma senza troppa convinzione, perchè gli altri dicevano di sì e poi continuavano imperterriti a chiamarlo Vin. Così era costretto a lasciar perdere per non rischiare di diventare una macchietta.
Baker aveva fatto per anni il commerciante. Aveva incominciato vendendo la frutta e verdura ai mercati generali di Nelson e faceva affari d'oro perchè come sapeva richiamare la folla lui, non ci riusciva nessuno: un imbonitore nato. Appena messi da parte i soldi necessari, era passato al commercio all'ingrosso. Aveva affittato un grande magazzino alla periferia della città, sempre pieno di roba fino all'inverosimile, e con la merce che faceva affluire da ogni parte dell'america, roba di qualità, bisognava ammetterlo, riforniva quasi tutti i migliori negozi del centro.
Gli affari erano andati benissimo per molto tempo, poi avevano incominciato a calare. Schiacciati dalla concorrenza dei grandi supermercati, i piccoli negozietti del centro avevano finito per chiudere uno dopo l'altro, e lui si era ritrovato quasi senza clientela. Baker aveva cercato di correre ai ripari, offrendosi di lavorare per i nuovi "padroni", ma era una battaglia persa in partenza, perchè i supermercati facevano già parte di grosse organizzazioni e non avevano bisogno di lui.
Giunto al bivio della sua vita, Baker aveva dato retta al suo fiuto e aveva mollato tutto prima che i debiti lo sommergessero. Aveva "saltato il fosso" e aveva provato a darsi alla politica: era stato un successone. Sfruttando la notorietà acquisita in tanti anni di attività e l'indubbia capacità di stare davanti a una folla, grazie anche all'appoggio di un gruppo di amici influenti, si era presentato candidato alle elezioni di tre anni prima e, tra lo stupore generale, (suo per primo) era riuscito a farsi eleggere sindaco di Nelson a grande maggioranza.
Ormai il mandato era nella sua fase finale e l'anno prossimo ci sarebbero state le nuove elezioni. Sicuramente Baker non avrebbe più avuto il sostegno plebiscitario che aveva accompagnato la sua prima elezione. Però non era impossibile pensare di essere rieletto. Se non altro avrebbe potuto provarci con buone prospettive. Ma ecco che il diavolo ci stava mettendo la coda. Si era accorto che i giornali di Nelson, o almeno quella parte della stampa che gli era sempre stata ostile, avevano incominciato a scavare intorno a lui. Cercavano buoni motivi per metterlo in difficoltà e se scavavano, Vim Baker lo sapeva, avrebbe sicuramente trovato qualcosa.
Perchè Baker non era un cattivo sindaco. Tutto sommato, sapeva amministrare ed era abbastanza intelligente da sapere quasi sempre come comportarsi per fare bella figura con i suoi concittadini. Il guaio era che rubava. Approfittava cioè della sua carica per arraffare, in un modo o nell'altro, tutti i soldi che poteva. Quasi ogni transazione rilevante decisa dal municipio di Nelson portava tangenti nelle sue tasche. Appalti, spese di manutenzione, gestioni di servizi pubblici: tutto faceva al caso per intascare mazzette. Finora era andata bene, perchè, se anche molti sospettavano qualcosa, prove evidenti dei suoi traffici non ce n'erano molte. Baker era un tipo in gamba. Si sforzava di muoversi in modo prudente e defilato, e in genere ci riusciva. Certo, c'erano i suoi più stretti collaboratori, che in molti casi non potevano non sapere. Ma anche loro non avevano un vero interesse a smascherare il loro capo, che era pur sempre la fonte legittima della loro posizione di privilegio.
Purtroppo per la stampa il discorso era diverso. Se i giornali dell'opposizione cercavano qualcosa per screditarlo, in vista della prossima elezione, e decidevano di andare a fondo davvero, qualcosa avrebbero trovato di certo. E a quel punto la sua posizione avrebbe cominciato a vacillare un po' troppo in fretta. Bastava qualche procuratore distrettuale in cerca di notorietà che avesse fiutato il colpo della sua vita e sarebbe stato nei guai. In un attimo il suo nome sarebbe passato dalla pagine dei giornali agli avvisi giudiziari e addio rielezione.
Anche se non fosse finito in galera (cosa comunque tutt’altro che facile), gli sarebbe dispiaciuto finire così. Avrebbe preferito rimanere ancora, accumulare altri soldi. D'altra parte, non c'era da illudersi: con i giornalisti alle calcagna il suo posto era segnato. Però doveva tenere la situazione sotto controllo e trovare il modo di andarsene prima che le cose precipitassero, senza lasciarsi travolgere.
Vim Baker si appoggiò allo schienale della poltroncina ed emise un profondo sospiro. Ma sì, ormai si era già divertito abbastanza. Tanto valeva guardare in faccia la realtà ed accettarla. Oltretutto lui non aveva famiglia, non aveva moglie e figli di cui preoccuparsi. E questo, dal suo punto di vista, era indubbiamente un grosso vantaggio. Il sole stava tramontando lentamente, lontano sull'orizzonte. Vim Baker indugiò con lo sguardo fuori dalla finestra e un lieve sorriso increspò le sue labbra, mentre ripensava a quello che aveva preparato per proteggere il suo futuro.

* * * * *

Le sette e venti. Mancavano solo dieci minuti ad andare in scena e Victoria Alexander riprese il telefono per la terza volta. Aveva già richiamato una seconda volta, alle sette, mentre si truccava e Matt non era ancora arrivato. Accidenti, ma dove diavolo era andato ? Formò il numero e attese mentre il telefono squillava. Tre squilli, cinque, otto. Stava per riattaccare quando la cornetta venne sollevata e una voce affannata rispose.
- Matt Bullard, chi parla ?
- Matt sono io, Victoria.
- Accidenti, - disse Matt ansando - sono arrivato in questo momento dall'ufficio. Ho sentito squillare dalle scale.
Victoria fissò il microfono con gli occhi sbarrati. Dall'ufficio ? Ma Matt era uscito dalla banca molto prima. Perchè le mentiva ?
- Victoria, pronto ? Sei lì ?
- Si sono qui, scusa. - disse lei riavendosi subito
- Dimmi. Cosa volevi ?
- E' per il videoregistratore. Mi sono dimenticata di programmarlo per stasera. Puoi farlo tu, per piacere ?
- Certo. Cosa ti registro ?
- Il dibattito sull'aborto, alle nove sulla CBS.
- Ok. Quanto dovrebbe durare ?
- Un'oretta credo. Tu comunque abbonda col "timer".
- Non c'è problema. Userò una cassetta da 2 ore. Magari lo guardo anch'io.
- Ecco sì, così poi ne discutiamo insieme.
- Uno di questi giorni, magari la prossima settimana... - disse Matt Bullard cupo.
- Come, scusa ?
- Voglio dire quando troviamo un momento di tempo, ecco.
- Sì, appunto. Ora ti lascio, che è tardi.
- Vai pure. Ciao amore - disse Matt - E buon lavoro.
- Ciao Matt - disse lei con la mente che turbinava di mille pensieri.
Victoria Alexander posò il telefono come in trance. Mi ha mentito, si ripeteva. Mi ha mentito ! Ma perchè ? Che ci sia un'altra donna ? Impossibile ! Ma perchè impossibile ? Dopotutto era ben cosciente che il loro legame non era più saldo come una volta. Facevano l'amore sempre più di rado e forse questo a Matt pesava più di quanto non fosse disposto ad ammettere. Anche adesso, con quella battuta sulla "prossima settimana". Ma lei lo amava. Non voleva perderlo. Non poteva accettare che Matt avesse un'altra donna.
- Victoria in scena - disse una voce perentoria fuori dal camerino.
Quella voce ebbe il potere di farla tornare alla realtà. C'era la commedia, il suo lavoro, che non poteva aspettare. Ai suoi problemi personali avrebbe pensato più tardi. Si diede un'ultima occhiata allo specchio, aprì la porta e si diresse con passo deciso verso il palcoscenico.

domenica 1 dicembre 2013

Il caso Golden Trust - 8

Cap. 8 - Sabato


La breve estate anticipata di Bristow stava già per finire, repentinamente come era incominciata. Già venerdì pomeriggio il tempo era peggiorato rapidamente e la temperatura si era fatta improvvisamente più fresca. Sabato mattina poi, il cielo si era gonfiato di nubi e tirava un vento freddo dal nord che minacciava pioggia. C'erano però alcune persone alle quali il peggioramento del tempo non riusciva a togliere il buon umore, ed erano le tre riunite in un confortevole ufficio situato al numero 125 di Market Street.
- E così la ragazza ha confessato tutto, alla fine - disse Ben Wallace con espressione soddisfatta.
- Tutto. E le cose erano andate esattamente come voi avevate intuito - confermò Kurt Thomas.
- Anche Finley, il fattorino - aggiunse Perkins - è risultato davvero estraneo alla faccenda.
- Mi fa piacere. Anche se, devo confessare, su quel punto non ero poi proprio sicuro al cento per cento.
- E perchè mai ? Non è che ci fosse una particolare simpatia tra loro due. - disse Perkins.
- Sì, lo so. La simpatia di Terry era per Brent Barry, il bel ragazzo addetto alla manutenzione.
- Davvero ? - intervenne Thomas sorpreso.
- Non lo sapevi, Kurt ? - disse Perkins con un sorriso malizioso.
- Francamente no, Sam. Tu sì ?
- Beh, lo sapevamo quasi tutti, alla Golden Trust .
Thomas scrollò il capo un po' stupito, ma non fece commenti.
- Dicevate ? - chiese Perkins rivolto di nuovo a Ben.
- Dicevo che non era per ragioni sentimentali, che pensavo a un'intesa tra la Dehere e Finley, ma semplicemente per motivi pratici.
- Un aiuto reciproco in cambio della spartizione del bottino, insomma. - ragionò Perkins.
- Sì, più o meno una cosa simile. - confermò Ben - Poi ho pensato che per farsi portare un pacco chiuso, Terry Dehere non aveva nessun bisogno di farselo complice. E sotto un certo profilo la ammiro anche, per questo. Sapeva anche lei che più persone sono coinvolte in un "colpo", più possibilità ci sono di essere scoperti.
- Mmm, giusto – ammise Thomas.
- Ci sono più possibilità di commettere errori. - continuò Ben - Più rischi di dire cose sbagliate, più vulnerabilità in caso di interrogatori della polizia, eccetera, eccetera.
- Quindi la nostra Terry ha dimostrato di essere molto più intelligente di quello che sembrava. - disse Thomas.
- Ah, su questo non ci sono dubbi - confermò Ben - E, personalmente, la cosa non mi ha nemmeno sorpreso troppo. Mentre la interrogavo ho avuto subito l'impressione che il suo modo di fare fosse un po', come dire, costruito.
- In che senso, scusate ?
- Beh, il suo continuo insistere sul non volere rischi o responsabilità sul lavoro mi è sembrato poco spontaneo. Più parlavo con lei, più mi sembrava evidente che quello non fosse il sintomo di una personalità limitata, ma piuttosto il tentativo, voluto, di tenere basso il proprio profilo esterno.
- E questo a quale scopo ?
- Per ottenere meglio quello che lei voleva dagli altri, senza insospettirli. E' incredibile come tendiamo a sottovalutare le persone che riteniamo meno intelligente di noi. E spesso finiamo per scoprirlo a nostre spese quando ormai è stroppo tardi.
- Mah ! - fece Perkins perplesso – noi non l'abbiamo mai vista sotto questa luce, in azienda.
- Non mi stupisce. Era piuttosto brava e lo ha dimostrato.
- Voi però ve ne siete accorto. - disse Thomas.
Ben si strinse nelle spalle.
- E' il mio mestiere questo. Sono abituato a guardare dietro la faccia esteriore delle cose e delle persone. Comunque è finita bene. Anche la refurtiva, se non sbaglio, è stata ritrovata, vero ?
- Sì ! - disse Thomas illuminandosi - L'abbiamo recuperata tutta.
- E' lei che ha confessato ? - chiese Ben.
- Sì. Non ha resistito molto, una volta interrogata. Non li aveva ancora versati in banca, per evitare sospetti, per cui li teneva in casa. Aveva intenzione di attendere un po', in modo che si calmassero le acque. Ma alla fine non ce l'ha fatta.
- E dov'erano, esattamente, le 20 mazzette ?
- Le teneva in un posto davvero geniale. - intervenne Perkins, tradendo suo malgrado una certa ammirazione - Aveva svuotato il contenuto di un vecchio personal computer che teneva in casa, e le aveva nascoste proprio lì, dentro il suo involucro esterno.
- Astuta, la ragazza. – commentò Ben - Chi mai avrebbe pensato ad un posto simile ?
- Già. Aveva pensato proprio a tutto.
Ben Wallace si appoggiò allo schienale della poltroncina, riandando con la mente alla ricostruzione dei fatti che aveva già fatto tante volte in quei giorni, e prese a contare sulle dita:
- Ore 9,40: Terry entra con le finte pratiche piene di soldi falsi e un foglio di carta da pacchi. Tira fuori il duplicato della chiave che si era fatta da tempo e apre la cassaforte con la combinazione che aveva carpito a voi, dottor Thomas, sbirciandola qualche volta di sfuggita.
- E io non mi sono mai accorto di niente.
- E' il discorso del basso profilo che facevamo prima. Voi non l'avevate mai considerata all'altezza di certe cose, per cui non ve ne eravate mai preoccupato.
- Già.
- A proposito, - chiese Ben - la ragazza ha confessato anche da quanto tempo aveva il duplicato della chiave e come era riuscito a procurarselo ?
- Sì - rispose Perkins - L'aveva da un paio di mesi e l'aveva fatto con un calco, sfruttando il fatto che, una volta, Thomas era uscito dimenticando la chiave nel cassetto della scrivania, anzichè portarla con sè come sempre.
- Mi dispiace - disse Thomas un poco avvilito - ma ho sempre la testa in mille pensieri.
- Non prendetevela. Sarebbe potuto succedere a chiunque.
Ben riprese il suo breve racconto.
- Dunque, la ragazza apre la cassaforte, toglie le mazzette vere e le sostituisce con quelle false. Poi richiude lo sportello, avvolge i dollari veri nella carta da pacchi, sigilla il tutto con del nastro adesivo, che avrà trovato senza problemi sulla scrivania del suo capo, ed esce. E' molto rapida, la nostra Terry, e in cinque minuti fa tutto. Quindi chiama Michael Finley e gli dice di prendere il pacco e portarlo in archivio. Lui è il fattorino della società, abituato ad eseguire questi ordini, e non ci fa caso più di tanto. Lei poi, per soprammercato, gli avrà anche fatto un bel sorriso, il che non guasta mai.
Perkins e Thomas sorrisero a sua volta, ma non fecero commenti.
- Alle 10 Finley prende il pacco e lo porta in archivio, dove poi Terry Dehere va a recuperarlo senza nessun problema. L'archivio di una società come la vostra è sempre un porto di mare, pieno di cartaccia, pacchi e pratiche che vanno e che vengono, dico bene, signori ?
- Proprio così.
- Per cui, tra tanta roba, nessuno fa caso alla gente che va e viene.
- Sarebbe impossibile. - riconobbe Thomas.
- Ovviamente, i tre ragazzi dell'archivio non c'entravano per niente con questa storia, vero ?
- No. - confermò Perkins - La ragazza ha escluso nella maniera più assoluta di aver avuto dei complici. E siccome alla fine ha confessato tutto, alla polizia, non c'è motivo di dubitare delle sue parole su questo punto.
- Lo immaginavo. Poteva avere una logica accordarsi con Finley, che aveva un ruolo ben più importante nel suo piano. Con i ragazzi dell'archivio non aveva neppure senso. Troppo rischioso crearsi dei complici solo per un dettaglio così marginale come il recupero del pacco in archivio.
- Che testa fina, quella Terry – borbottò Thomas.
Ben annuì sorridendo, poi proseguì nella sua ricostruzione.
- Al pomeriggio scatta la seconda parte del piano della Dehere: bisogna ingannare tutti facendo vedere le mazzette di dollari, come se ci fossero ancora, e poi fare sparire quelle false. Prima tira fuori la storia del cliente che vuole gli assegni protestati in restituzione...
- Per la verità, non era una storia. - disse Perkins - Era proprio vero.
- Non mi stupisce. Però è certo che l'ha tirata fuori proprio al momento giusto. Probabilmente lo sapeva da un po' e ha fatto credere che la restituzione dei titoli fosse una cosa urgente da fare proprio in quel momento.
- E' possibile.
- Comunque il giochino riesce alla perfezione. Voi, Perkins, aprite la cassaforte e, senza sospettare di nulla, notate che le mazzette ci sono ancora. Fine del primo round.
- Non credo che avrei potuto notare niente, preso com'ero dai miei pensieri.
- Appunto. - disse Ben comprensivo - Ed era proprio su questo che fa conto la ragazza. Ma ormai siamo alla fine. Dopo poco più di mezz'ora Terry Dehere è pronta per il tocco finale. Entra di nuovo nell'ufficio del suo capo, stando bene attenta a non avere niente con sè, per non insospettire la Hawkins, riapre la cassaforte, prende i suoi dollari falsi e li brucia rapidamente nell'inceneritore. Per sua fortuna, ma sicuramente aveva calcolato anche questo, si tratta di un modello moderno ed efficiente e se la sbriga con rapidità. Anche in questo caso cinque minuti sono più che sufficienti e nessuno si insospettisce.
- Neanche quel mastino della Hawkins - osservò Thomas.
- Nemmeno lei. Dopodichè Terry se ne esce tranquillamente dalla stanza senza lasciare la minima traccia. Il colpo può considerarsi concluso e... che ci pensi la polizia a rompersi la testa su quell'enigma.

- Era tutto molto ben organizzato, bisogna riconoscerlo. Ma, grazie al cielo, ha fatto i conti senza di voi. – concluse Perkins.
- Già. – intervenne Thomas - Siete stato davvero molto in gamba.
- Sono stato anche fortunato – si schermì Ben.
- Bravo e fortunato. – continuò Thomas – Ma anche la fortuna è un merito. Così la pensavano gli antichi. E così la penso anch’io.
- Allora, - concluse Ben con un sorriso compiaciuto – non posso proprio contraddirvi.

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