domenica 30 marzo 2014

L'attentato fallito - 3

Cap. 3 - Lunedì


Lunedì sera il tempo incominciò a peggiorare rapidamente e si mise a fare piuttosto freddo. La temperatura si era abbassata di colpo di parecchi gradi e un forte vento spazzava impietoso le vie della città.
Alle dieci in punto, un'auto sportiva di colore scuro si fermò di fianco al grande cancello, sempre aperto, che delimitava l'uscita nord del parco centrale di Bristow.
Vista la temperatura, il giudice Stockton si limitò a mettere in folle il motore, ma non lo spense per poter mantenere in funzione il riscaldamento. Si guardò intorno nel buio, ma non c'era nessuno in vista. Guardò l'orologio: era in orario perfetto, ma Ruffin non si vedeva. Probabilmente è un tipo ritardatario, pensò. Strano, perchè chi fa il killer di professione deve essere abituato alla massima precisione. Anche Stockton era un tipo preciso che amava la puntualità, ma quella sera non aveva fretta. Mai mettersi nelle condizioni di avere fretta, quando si devono concludere affari importanti: si rischia soltanto di combinare dei disastri.
Si sistemò più comodamente sul sedile, si accese con gesti calmi e tranquilli una sigaretta e si preparò ad aspettare. Passò un vecchio ubriaco, poi una coppia di fidanzati, che camminavano svelti, abbracciati stretti stretti uno all'altra, come per ripararsi dal vento freddo della sera. Dopo dieci minuti una figura alta, avvolta in un pesante giaccone di pelle marrone, uscì da dietro un grosso albero e si avvicinò all'auto. La faccia di Stockton era in ombra e Ruffin non lo riconobbe subito.
- Non siamo molto puntuali, eh ? - lo apostrofò il giudice, comunque disturbato da quel ritardo.
- Certo che sono puntuale. - replicò sprezzante il killer - Ma sono anche prudente.
- Che vuoi dire ? - chiese Stockton, leggermente irritato. Ruffin fece un gesto con la mano, ad indicare il grande parco che si stendeva dietro di loro.
- E' da mezz'ora che sono qui. Ma prima di farmi vedere ho voluto essere tranquillo, che non ci fossero movimenti strani in giro.
- Ah.
- Senza prudenza non si va lontano, nella vita. Meno che mai nel mio lavoro.
- OK. - convenne il giudice rabbonito - Tutto tranquillo ?
- Direi di sì.
- Allora sali.
Ruffin fissò la figura del giudice avvolta nella penombra. Poteva intravedere il colletto della camicia, la cravatta e persino il mento dell'uomo, ma non il resto del viso, per cui non riusciva proprio a riconoscerlo.
- La tua voce non mi è nuova, amico. Ci conosciamo, forse ?
- Certo che ci conosciamo. Ma adesso muoviamoci.
Ruffin fece il giro dell'auto, salì sul sedile e richiuse rapidamente la portiera. Stockton mise in moto e ripartì.
- Sono il giudice Stockton, Ruffin, quello del tuo ultimo processo.
- Maledizione ! - esclamò Ruffin, mentre un lampo di paura attraversava i suoi occhi.
Istintivamente, mise la mano nella tasca del giaccone per prendere la pistola, ma la voce di Stockton lo fermò.
- Lascia stare la pistola, Trevor. Non è una trappola questa.
- No ? E chi me lo dice ? - replicò Ruffin guardingo con la mano ancora infilata nella tasca.
- Te lo dico io. Sarebbe ben puerile come trappola, non credi ? Ti ho appena assolto. Come potrei incriminarti di nuovo ?
- E che ne so ? Non sono un avvocato io.
- Ecco, appunto. Allora stai tranquillo e ascolta quel che ho da dirti.
L'uomo si rilassò un poco e tolse la mano dalla tasca. L'auto viaggiava a velocità moderata verso la parte più periferica della città. Stockton doveva fare un lungo discorso al suo passeggero e preferiva evitare le strade strette e piene di traffico del centro. Molto meglio i lunghi ed ampi viali della periferia, che non richiedevano un'attenzione di guida particolare.
- Allora, perchè mi vuoi parlare ? - chiese Ruffin dopo qualche minuto.
- Te l'ho già detto, no ?
- Un contratto ?
- Proprio così.
- Tu ? Un giudice ?
- Perchè no ? Sono un uomo anch'io, non ti pare ?
- Ok, Ok. E chi sarebbe il bersaglio ?
- Mia moglie.
Trevor Ruffin ebbe un sorriso. La solita storia di tante altre volte. Sembrava che la gente corresse a sposarsi tutta contenta, solo per poi scoprire, dopo un po' di anni, di non poter assolutamente sopportare la persona che si era scelta. Fino al punto, alle volte, di volerla ammazzare. Molto meglio fare come lui. Quando trovava una ragazza che gli piaceva, la pigliava e se la portava a letto. Poi, quando era stufo, le diceva semplicemente di andarsene e se la levava di torno dal mattino alla sera, senza tante complicazioni. Ma la gente era così stupida...
- Sarà un lavoretto pulito e senza rischi. - stava dicendo Stockton.
- Me l'hai già detto al telefono, questo, ma non ci credo.
- Invece devi crederci, Trevor, perchè ho già programmato tutto. E poi ci sarò io, a sviare le indagini. In fondo sono un giudice importante, qui a Bristow, e la mia parola vale pur qualcosa. Se darò le indicazioni adatte, tu sarai l'ultima persona la mondo che potranno sospettare.
Ruffin borbottò qualcosa tra sè, ma non fece commenti.
- Non sei convinto ? - insistette Stockton.
- Ok, diciamo che potrei convincermi.
- Così va meglio.
- Dipende anche dal prezzo.
- Certo, certo.
- Quanto sarebbe ?
- 20 mila dollari.
- Troppo pochi.
- Andiamo, Trevor... - disse il giudice con tono bonario - Ti ho detto che è una cosa sicura.
- Me l'hai detto, ma non me l'hai ancora dimostrato.
Stockton sorrise. Si aspettava di arrivare a questo punto, e questo voleva dire che Ruffin avrebbe finito per accettare. Si voltò a guardare il suo interlocutore.
- Allora facciamo così: io ti spiego per bene come intendo organizzare la cosa e tu valuti il rischio. Se davvero il rischio è minimo accetti i 20 mila dollari.
- Altrimenti ?
- Altrimenti, - disse Stockton stringendosi nelle spalle - tu rifiuti l'incarico e io mi cerco qualcun'altro un po' meno schizzinoso.
Ruffin ci pensò su un poco e dovette convenire che Stockton non aveva poi tutti i torti. Certo lui era uno dei migliori, sulla piazza, ma non era neppure l'unico che facesse certi lavoretti. Se davvero era una cosa facile, il giudice poteva sempre cercarsi qualcun altro e lui avrebbe perso l'incarico.
- D'accordo. - disse Ruffin a denti stretti. - Sentiamo un po' questa storia.
Stockton imboccò un lungo viale alberato e incominciò a raccontare con voce tranquilla.
- Io abito in Lincoln Street, proprio nel centro della città. Davanti al mio palazzo c'è l'agenzia principale di Bristow del First National Bank. Quindi di sera, dopo la chiusura degli uffici, in quel tratto di strada non c'è praticamente nessuno e non è neppure illuminato molto bene.
Ruffin ascoltava attento, senza parlare.
- Tu arrivi in auto, verso sera - continuò Stockton - e parcheggi lì davanti, approfittando del buio. Quando io e mia moglie usciremo, tu dovrai spararle. Hai un fucile di precisione ?
- Posso procurarmelo.
- Allora usa quello. La strada è piuttosto larga e l'arma deve essere potente e precisa.
- Non c'è' problema.
- Poi fuggirai in auto. Io dirò di aver visto l'auto fuggire, ma di non aver potuto prendere il numero della targa. Segnalerò alla polizia solo il tipo di auto e il colore, e, per maggior sicurezza, indicherò dei dati completamente diversi da quelli veri. Così nessuno potrà risalire fino a te.
- Mmm, non mi convince del tutto.
- Perchè ?
- Tua moglie lavora ?
- No. Sta in casa.
- Ha una vita sociale particolarmente intesa ?
- Beh, no. Perchè ?
- Perchè non credo che chi fa una vita simile possa avere dei nemici.
- E allora ?
- E allora chi vuole che possa volere la sua morte ? La polizia non lo penserà nemmeno per un momento e sospetterà subito di te, che sei il marito. Metteranno in dubbio la tua testimonianza, dopodichè anche io potrò trovarmi nei guai.
Il giudice Stockton si concesse un sorriso.
- Infatti, ci avevo già pensato anch’io, Ruffin. Ma la soluzione c’è ed è piuttosto semplice.
- Sentiamo.
- Faremo in modo che mia moglie non sembri il vero obbiettivo dell'attentatore, ma solo una vittima casuale.
- E chi sarebbe il vero bersaglio ?
- Io.
- Mmm. Mica male come idea. - ammise Ruffin.
- Non è una cosa frequente, ma è già successa. Il killer si organizza per uccidere Tizio e invece ci va di mezzo Caio. Una bella sfortuna, ma la vita è piena di episodi sfortunati. Mia moglie sarà solo una povera donna, dalla vita irreprensibile, che ha avuto la sfortuna di trovarsi al fianco di suo marito in un momento drammatico. Nient'altro.
- Mmm... - fece Ruffin, dubbioso. Era abituato a ponderare molto, prima di accettare un'idea, e analizzava sempre le varie ipotesi con grande attenzione - Siamo sicuri che la polizia crederà a questa storia ?
- Perchè no ?
- Tu sei più credibile, come bersaglio, siamo d'accordo. Ma non si uccide un giudice senza un motivo. E la polizia dovrà cercare un movente.
- Niente paura, Trevor. Ho pensato anche a questo. Non farò altro che prepararli psicologicamente.
- Cioè ?
- Nei prossimi giorni mi invierò una lettera anonima di minaccia e poi andrò a denunciarla alla polizia. Loro non avranno motivo di non crederci e... "voilà", il gioco è fatto.
Ruffin restò di nuovo in silenzio, soppesando i vari aspetti di quella storia. Sì, tutto sommato il rischio era davvero ridotto. Non c'erano motivi ragionevoli per cui dovesse andare storto. E, d'altra parte, nel suo mestiere una parte di rischio era ineliminabile. Non si poteva sempre dubitare di tutto, altrimenti si finiva per non fare più niente.
- Ok, giudice, mi hai convinto.
- Oh, molto bene.
- Adesso scendiamo nei dettagli. Che giorno e che ora ?
- Non lo so ancora. Sicuramente ho bisogno ancora di un po’ di tempo, perchè devo preparare la lettera minatoria, mandarmela e fare un po’ di scena con la polizia. Comunque sarà di sera, perchè abbiamo bisogno che faccia buio. Diciamo una sera di questa o della prossima settimana. Alla prima occasione in cui ci capiterà di uscire per andare a cena da qualche parte.
- Per me un giorno vale l'altro. Ma devo programmarmi per tempo.
- Sì, certo. Lo so. Te lo farò sapere per telefono appena possibile.
- Ok, proseguiamo. - continuò Ruffin con voce decisa – Qual è il numero del portone di casa Tua ?
- L'89.
- Quale sarà il segnale per muovermi ?
- L'accendino.
Ruffin ascoltava attentamente, senza prendere appunti. Aveva l'abitudine di non scrivere mai niente di quello che gli serviva per il suo lavoro, perchè non voleva correre il rischio di lasciare delle tracce pericolose in giro. Un suo collega era finito all'ergastolo per un semplice biglietto finito in mani sbagliate, e lui non aveva nessuna intenzione di imitarlo. Molto meglio limitarsi a memorizzare tutto. Tanto più che lui aveva un'ottima memoria, bel allenata, e non aveva mai dimenticato niente.
- Io scenderò dalle scale per primo, - stava dicendo Stockton - tanto mia moglie è sempre l'ultima a essere pronta. Uscirò dal portone e quando sentirò che sta per raggiungermi, tirerò fuori l'accendino come per accendermi una sigaretta. L'accendino però mi scapperà di mano e io mi chinerò per raccoglierlo. In quel momento mia moglie sarà proprio dietro di me e tu sparerai. Poi scapperai a tutta velocità. Che auto userai ?
- Non lo so. Ne ruberò una per maggior sicurezza.
- Meglio. - disse Stockton - Comunque farò in modo di dare indicazioni false ugualmente. "Melius est abundare quam deficere".
- Che cos'è ? - chiese Ruffin sospettoso.
- Latino. - disse Stockton con un sorriso - Un vecchio vezzo di noi giudici. Vuol dire che in certi casi è meglio abbondare con le cautele, che non risparmiarsi.
Ruffin sbuffò, leggermente a disagio, conscio che l'altro aveva tirato fuori la sua cultura solo per fargli pesare la propria superiorità. Ma poi lasciò perdere e tornò rapidamente al problema che lo interessava.
- E per i soldi ?
- Abbiamo detto ventimila, no ?
- Sì, certo. Ma pagati come ?
- Metà come anticipo. Il resto a lavoro finito.
- A quando l'anticipo ?
- Anche subito, se vuoi. - disse Stockton con un sorriso. Mise una mano in tasca, ne estrasse un grosso fascio di banconote e lo porse a Ruffin.
- Ecco qua, Trevor.
Senza parlare, il killer prese il mazzo di banconote e le infilò nel giaccone senza contarle.
- Per il saldo ci vedremo tre giorni dopo l'attentato – continuò Stockton - Ci ritroveremo allo stesso posto e alla stessa ora di stasera.
- Per me va bene. - concluse il killer.
Era davvero un lavoretto pulito e Ruffin poteva esserne soddisfatto. Senza contare che, in quel momento, i ventimila dollari gli facevano maledettamente comodo. Stockton guardò l'orologio sul cruscotto. Si era fatto piuttosto tardi e aveva appuntamento con Jessica, quella sera.
- Direi che siamo a posto. Dove ti lascio ?
Ruffin guardò fuori dal finestrino e vide che erano vicini a una stazione della metropolitana.
- Lasciami pure qui.
- Ok. Allora Ti telefono appena posso.
- D'accordo.
L'auto si fermò accostando al marciapiede. Trevor Ruffin fece un breve cenno di saluto e scese dalla vettura, allontanandosi rapidamente in direzione della metropolitana. Il giudice Stockton restò per qualche secondo a guardare il suo uomo che si dileguava nel buio della notte, poi ripartì con una rapida accelerazione. Jessica lo aspettava, e lui non vedeva l'ora di trovarsi tra le sue braccia.


sabato 22 marzo 2014

L'attentato fallito - 2

Cap. 2 - Sabato


Era già quasi mezzogiorno passato quando Elliot Perry uscì dall'ufficio di Ben Wallace al numero 125 di Market Street. Nero, robusto, alto un metro e novantacinque, con i capelli tagliati corti gli occhi neri penetranti, Ben Wallace era uno dei migliori investigatori privati di Bristow. Mentre l'uomo scendeva le scale, Ben guardò l'orologio e decise che la settimana di lavoro era durata abbastanza. Erano stati giorni piuttosto intensi e non vedeva l'ora di rilassarsi un po'.
Ripensò al cliente che era appena venuto a trovarlo: era la solita storia di corna. Perry temeva che la moglie lo tradisse con qualcun altro e aveva bisogno dell’aiuto di Ben per averne conferma. Elliot Perry in fondo sembrava un povero diavolo. Era un nero come lui, e aveva poco più di trent'anni, ma sembrava più vecchio perchè faceva un lavoro duro. Era caposquadra in una fonderia e faceva anche un mucchio di straordinari per poter guadagnare abbastanza per tutti e due. Non era un colosso, ma aveva una muscolatura di tutto rispetto. Però non sembrava un violento.
La moglie invece si chiamava Tina Marshall. Perry gli aveva lasciato delle foto ed era proprio una bella ragazza. Sembrava anche un tipo dispendioso, però, che amava la bella vita. Non era impossibile che tradisse il povero Perry con uno più ricco di lui. Lui amava molto sua moglie e aveva il terrore che potesse avere un amante, ma non era disposto a mettere la testa sotto la sabbia. Non poteva vivere con quella angoscia e voleva sapere la verità, qualunque fosse. Difficile dire cosa avrebbe fatto se Ben avesse scoperto che lei lo tradiva. Probabilmente avrebbe tentato in tutti i modi di riconquistarla, ma Ben aveva fieri dubbi che ci sarebbe riuscito. Lei sembrava un tipo terribilmente frivolo ed Elliot Perry non gli sembra l'uomo adatto per lei. Comunque non era affari suoi. Come al solito, lui avrebbe fatto il suo lavoro e basta.

* * * * *

Appena finito di pranzare con la moglie, un pranzo silenzioso interrotto da rari monosillabi, il giudice Stockton lasciò la sala da pranzo con una scusa e si infilò nel suo studio. Aveva voluto una stanza da lavoro anche lì, perchè era un uomo scrupoloso. C'erano cause semplici e cause complicate e Stockton voleva essere sempre all'altezza della sua fama. Così, se lo riteneva necessario, poteva portarsi a casa qualche fascicolo, per studiarselo con calma anche oltre l'orario d'ufficio. Poi, da quando aveva incominciato a non andare più d'accordo con Janet, quella stanza tutta sua era diventata una benedizione. Poteva estraniarsi dalle grane di casa e rintanarsi nel suo mondo, tra le sue cose, senza avere sempre tra i piedi quella rompiscatole di Janet. Un paradiso. E poteva anche fare le sue telefonate personali in totale solitudine. Come adesso, per esempio.
Stockton prese una sigaretta dalla scatola di legno pregiato che teneva sulla scrivania, la accese e ne aspirò il fumo per qualche secondo, rimuginando tra sè. Poi aprì un cassetto e ne tirò fuori un fascicoletto smilzo che aveva portato dal Tribunale qualche giorno prima. Era il fascicolo del caso Ruffin, o meglio una copia dei documenti più importanti. Se lo era portato a casa per studiarselo meglio, nella speranza di poter finalmente incastrare quel mascalzone. Ma era stato tutto inutile, perchè Trevor Ruffin aveva finito per cavarsela ugualmente.
Purtroppo. O per fortuna.
Con un sorriso Stockton aprì il fascicoletto, trovò quello che cercava e alzò il telefono. Trevor Ruffin rispose al quarto squillo.
- Chi parla ? - chiese con voce sgarbata.
- Devo vederti. - disse il giudice Stockton.
- E tu chi sei ?
- Un cliente. Ho un contratto da proporti.
Stockton conosceva benissimo il linguaggio della malavita e sapeva usarlo in modo appropriato. Ne aveva viste tante, nella sua carriera giudiziaria. E questa volta la sua esperienza gli sarebbe tornata utile.
- Chi ti manda ?
- Nessuno.
- Allora come fai a conoscermi ?
- Andiamo. Sei in gamba, nel tuo lavoro. Chi ha bisogno di te, ti conosce.
Quel piccolo tentativo di adulazione fece il suo effetto e Ruffin si raddolcì un poco.
- OK, ma come faccio a fidarmi ?
- Di cosa hai paura ?
- Potresti essere un poliziotto che tenta di incastrarmi. Sono appena uscito per miracolo da una brutta storia.
- Lo so.
- Ah sì ? E come lo sai ?
- L'ho letto sui giornali. - mentì Stockton per tranquillizzare il suo interlocutore.
- Comunque non voglio rischiare ancora.
- Sai bene che è impossibile. Una trappola del genere non avrebbe nessun valore legale e il poliziotto che avesse la brutta idea di provarci finirebbe per passare i suoi guai.
Ruffin sapeva che era vero. Il suo avvocato gli aveva raccontato una volta di un caso analogo, finito molto male per il poliziotto che ci aveva provato.
- Un contratto da quanto ? - chiese.
- Ne discuteremo con calma. Ma si tratta di un lavoro pulito e senza rischi, per cui il tuo guadagno sarà più che soddisfacente.
- Non esistono lavori senza rischio.
- Invece questo lo è.
- Vedremo.
- Allora accetti ?
Ruffin ci pensò un po' su, poi decise che poteva anche accettare. Era appena uscito di galera e aveva un disperato bisogno di soldi. Tina, la sua amante, era una ragazza molto dispendiosa e se voleva tenerla legata a sè doveva essere sempre pronto a spendere. Per fortuna faceva un lavoro molto ben pagato.
- D'accordo, accetto. - disse infine.
- Ottimo. - concluse Stockton.
- Quando ci vediamo ?
- Lunedì sera va bene ?
- Per me va bene.
- Diciamo verso le dieci. Passo a prenderti con la mia auto. Facciamo un giretto e ne discutiamo in tutta tranquillità.
- Ok. Dove ci troviamo ?
- All'ingresso nord del parco centrale. Sai dov'è ?
- Sì.
- E' quello davanti alla stazione ferroviaria.
- Ho detto che lo so.
- Ok, era solo per sicurezza. - disse Stockton senza scomporsi. Era un tipo deciso, il giudice, sicuro di sè, e non si lasciava certo smontare da così poco – Allora, ci vediamo lunedì sera.
- Aspetta. Che auto avrai ?
- Una Maserati verde scuro.
- Ti tratti bene, eh ? - disse Ruffin sarcastico.
- Mi piace la bella vita. A te no ? - tagliò corto Stockton.
- Certo, certo. - ridacchiò Ruffin.
- Allora a lunedì.
Stockton posò il telefono e si appoggiò soddisfatto contro lo schienale della poltrona, socchiudendo gli occhi. Il primo contatto con Ruffin era andato bene. Era riuscito ad agganciarlo e lo aveva convinto a parlargli. Da lì in poi sarebbe stato tutto più semplice. Il sorriso si allargò sulle labbra di Stockton: più ci pensava, più il suo piano gli sembrava davvero perfetto. Riaprì gli occhi e si accese un'altra sigaretta, aspirandone il fumo avidamente. Adesso avrebbe telefonato a Jessica. Quella storia lo eccitava e lui moriva dalla voglia di rivederla.

sabato 15 marzo 2014

L'attentato fallito - 1

Cap. 1 - Venerdì


- Non pretenderai che ti creda, vero ? - disse il giudice Stockton, sbuffando.
- Io non “pretendo” niente, John. Ti dico solo che è vero. - replicò Lionel Simmons posando il bicchiere di scotch.
- Non può essere vero. Sarebbe troppo bello ! - continuò Stockton fissando il compagno - E poi non l’ho ancora sentito dire da nessuno.
Simmons scrollò il capo, comprensivo. Lui stesso era rimasto di stucco quando aveva saputo che Anthony Webb, sindaco uscente di Bristow, non si sarebbe ricandidato di nuovo. Se lo era fatto ripetere due volte, tanto per essere sicuro di non avere capito male. E adesso che si trovava fronte all'incredulità di Stockton, ne prendeva atto senza stupirsene. Anzi, provandoci addirittura un po' di innocente soddisfazione.
- A me l’ha detto direttamente il "boss". Quindi è vero per forza.
Il "boss" era Rex Chapman, governatore dello Stato nonchè leader incontrastato del loro partito a livello locale.
- Ah beh, se l’ha detto il “boss”…
Era la tarda mattinata di un venerdì di fine ottobre. Il tempo a Bristow era nuvoloso, ma non troppo freddo. Nonostante l'aria un po' frizzante del mattino, l'inverno si poteva considerare ancora lontano. John Stockton, giudice anziano del Tribunale di Bristow, e Lionel Simmons, consigliere di minoranza del consiglio comunale di Bristow, stavano prendendo un drink nel silenzio ovattato dell' "Old England Club", il circolo privato di cui erano soci. Un posto riservato e costoso, pieno di mobili d'epoca, parquet lucidissimi coperti da tappeti pregiati, quadri d'autore alle pareti e morbide tende di velluto. Il tutto completato da cibo gustoso, ottimi liquori e personale efficiente e discreto.
Quello che serviva, insomma, per consentire alle persone importanti e facoltose di Bristow di ritrovarsi in un ambiente esclusivo per fare buona conversazione e bere un buon whisky in santa pace. Lontano dai rumori della strada e da orecchie indiscrete. John Stockton si appoggiò comodamente allo schienale della poltrona, la sua poltrona preferita e un sorriso radioso spuntò sulle sue labbra.
- Non avrei mai pensato che quella mezza calzetta di Webb decidesse di mollare...
Ovviamente Anthony Webb, sindaco in carica di Bristow, non era propriamente una mezza calzetta. Era un uomo in gamba, onesto e dinamico, stimato da gran parte della cittadinanza. Ma era un fatto che la sua statura era decisamente modesta, un metro e 62 centimetri appena. Perciò per Stockton, che apparteneva al partito politico rivale, e non aveva molta compassione, in genere, per il suo prossimo, quella definizione offensiva era automatica e praticamente inevitabile. Anche perchè l'onestà e la capacità amministrativa dimostrate da Webb durante il suo mandato erano, ovviamente, uno degli elementi che più davano lustro al partito che lo sosteneva. E quindi diventavano il primo nemico per le prospettive di riscossa della parte rivale. Purtroppo in politica il bene della collettività è una gran bella cosa, ma viene sempre un po' dopo gli interessi del proprio partito.
- Hai un’idea del perché ? – chiese Stockton al compagno. 
- Pare che ci siano di mezzo ragioni di salute.
- Ragioni di salute ? - disse beffardo il giudice - Probabilmente ha il sedere consumato a furia di strisciarlo per terra, tappo com'è.
- Dai, non dire così, John. - disse Simmons, che, nonostante la rivalità politica, aveva almeno l'onestà di riconoscere le qualità dell'avversario - Tutto sommato Anthony Webb non è stato male, come sindaco.
- Pfui... Che ne dice Rex ?
- Gli ho parlato ieri - disse Simmons - ed era al settimo cielo. Questo è davvero un bel colpo per il nostro partito. Se Webb si ricandidava ad aprile era quasi sicuro della rielezione. Così invece la lotta è di nuovo aperta.
- Più che aperta - disse Stockton con un lampo di malizia negli occhi - Quei presuntuosi non hanno alternative a Webb, ecco la verità. Chi altri potrebbero candidare, al suo posto ? Robert Pack ? Corliss Williamson ? Sono tutte mezze figure.
- Hai ragione - disse Simmons ridacchiando - E gli altri sono ancora peggio. Erano così convinti di poter puntare ancora su Webb per la rielezione che non si sono mai preoccupati di allevarsi qualcun altro abbastanza in gamba.
Stockton rimase un attimo a fissare il bicchiere, poi rialzò lo sguardo verso il suo compagno.
- E... su chi punterà il nostro partito ?
- Beh, lo sai come la penso, io, no ? Tu sei il migliore di tutti.
- Ti ringrazio, ma non mi basta. Bisogna che lo pensi anche il “boss”. Ne avete già parlato ?
- Un poco.
- E... ?
Lionel Simmons bevve un altro sorso di whisky, poi posò il bicchiere e fissò l'amico con un sorriso intrigante.
- Forse lo sto convincendo a candidare Te. Ti solletica la cosa, eh ?
- Adesso sì, accidenti ! Prima ci tenevo, ma fino a un certo punto, perchè a competere con Webb c'era solo da restare con le ossa rotte. Adesso invece...
I due amici scoppiarono a ridere, poi John Stockton ridivenne serio.
- Di', Lionel. Ma sei sicuro che Webb si ritirerà davvero dalla politica ?
- Cribbio, John, te l'ho detto, no ? Ci conosciamo da tanto tempo, ormai. Ti ho mai contato una balla ?
- Beh, qualche volta sì. - disse Stockton con un sorrisetto beffardo. Simmons arrossì violentemente.
- Voglio dire, John... su cose importanti.
- Ma dai, che scherzavo.
- Ah ecco. Beh, ti assicuro che è proprio vero. Devi credermi.
Stockton emise un profondo sospiro. Si versò ancora del whisky e alzò il bicchiere verso l'amico.
- Alle nostre fortune.
- Alla tua elezione - rispose Simmons.
I due amici si toccarono i bicchieri in segno di brindisi, poi li vuotarono con una rapida sorsata. Il giudice restò un po' in silenzio rigirandosi il bicchiere ormai vuoto tra le mani. Poi guardò di nuovo il suo compagno.
- Senti, Lionel, quando pensi che il capo deciderà il candidato finale ?
- E chi lo sa ? Sappi comunque che io sono con te e farò di tutto per convincerlo.
- Lo so, lo so. Ma cosa potrei fare, nel frattempo, per aumentare le mie possibilità ?
- Beh, ci vorrebbe qualche bel caso giudiziario che ti metta in luce.
- Magari. Ma quelli non me li posso mica fabbricare io, sai. - replicò Stockton.
- Lo so, John. Ci vorrebbe un po' di fortuna.
- Già.
- E poi, vacci piano con la tua mulatta.
Questa volta fu il turno di Stockton ad arrossire.
- Cosa c'entra Jessica ?
- Sai che un buon candidato deve avere una vita familiare irreprensibile.
Stockton si strinse nelle spalle.
- Quella di Jessica è una cosa che non sa nessuno. L'ho detto solo a te, perchè di te mi fido. Ma non lo sa nessuno, te lo giuro.
- Nemmeno Janet ?
- Nemmeno mia moglie.
- Meglio per te, ma non farci troppo conto sopra. Fino ad ora non è stato difficile. Tu sei un tipo importante, però, tutto sommato, non sei sotto i riflettori. Ma prova ad immaginare cosa succederebbe se tu fossi candidato ?
- Avrei tutti addosso, vero ? - convenne Stockton con tono mesto.
- Tutti addosso ? Non riusciresti nemmeno ad andare in bagno senza qualche giornalista alle calcagna, credimi.
- Sì, hai ragione, amico mio. Ma Janet è una tale rompiballe, che se non avessi Jessica...
- Comunque, se speri di farti candidare da Rex, dovresti allentare i rapporti con la tua amante e riprenderli un po' con tua moglie.
Stockton sospirò. Era un grosso sacrificio, ma sapeva che Simmons aveva ragione. Un po' di facciata non guastava mai. Però, accidenti, sarebbe stata una bella impresa.
- Sarà dura.
- Beh, vedi tu. Io cercherò di sostenerti come sempre. E poi tu, se sarai eletto, mi darai l'assessorato ai lavori pubblici, come ti avevo chiesto.
- Questo è ovvio, amico mio. Ne abbiamo già parlato e non intendo rimangiarmi la parola.
Simmons alzò gli occhi sul grande orologio a muro che segnava le 12 e 40.
- Che ne diresti di andare a pranzo, John ?
- Ma sì, Lionel, andiamo. Oggi ho un'udienza alle due e mezzo e non voglio arrivare in ritardo.
- Che roba è ?
- Un killer della malavita che forse si è fatto pizzicare. Ma ci sono pochissime prove a suo carico. Mi si rivolta lo stomaco solo a pensarlo, ma temo proprio che dovrò metterlo fuori.
- Insufficienza di prove ?
- Proprio così.
- Eh, caro mio, sono cose che succedono...
I due amici si alzarono dalle poltrone di morbidissimo cuoio nero e si incamminarono, chiacchierando tranquillamente, verso la sala da pranzo.


* * * * *

Terminata l'udienza, verso le quattro, il Giudice Stockton ritornò nel suo ufficio del Tribunale con un diavolo per capello. Sbattè il codice processuale sulla scrivania, come per sfogarsi un po' e si mise a guardare fuori dalla finestra. Come temeva, quel mascalzone di Trevor Ruffin si era rivelato più furbo dei poliziotti che l'avevano arrestato ed era riuscito a evitare la galera. Come al solito. Stockton era fermamente convinto della sua colpevolezza. Aveva troppa esperienza di queste cose per non essere giunto alla conclusione più ovvia; e alla stessa conclusione, ne era sicuro, erano giunte tutti le altre persone presenti al processo.
Ma la legge era la legge, e lui, dopo tanti anni di tribunale, sapeva benissimo che non poteva farci niente. Le prove erano insufficienti, ecco il punto. Rimaneva il "ragionevole dubbio" che Ruffin non fosse colpevole di quel delitto, che si fosse trattato di qualcun altro. E così lui, da bravo giudice, pur con la morte nel cuore, aveva dovuto rispettare la legge e metterlo fuori. Niente galera per Trevor Ruffin. Assolto ancora una volta. Accidenti, imprecò il giudice tra sè. Che potessa crepare una buona volta all'inferno ! Con quel suo ghigno strafottente, tipico di chi è cosciente di essere colpevole, ma si fa beffe della giustizia perchè "sa" che la farà franca.
Stockton si tolse la toga con gesto nervoso, aprì il mobile bar e si versò una dose abbondante di cognac. Era un cognac francese di altissima qualità che si faceva mandare direttamente dalla Francia, da un piccolo produttore di provincia, e custodiva gelosamente solo per sè. Non lo offriva mai a nessuno, perchè non voleva dividere quel nettare divino con chicchessia. Per cui era costretto a tenerlo nascosto in ufficio e berlo soltanto quando era da solo. Ma ne valeva la pena. Adesso un bicchiere di quel cognac era proprio quello che ci voleva per rimetterlo in sesto.
Un sorso abbondante di liquore e il pensiero di Ruffin fu subito sostituito da quello, molto più piacevole, della sua carriera politica. Ripensò a quello che gli aveva riferito poche ore prima il suo amico Simmons, al club, e la cosa lo rimise subito dell'umore giusto. Ormai era venerdì sera e la settimana di lavoro era finita. Al diavolo quel mascalzone di Ruffin e la sua assoluzione per insufficienza di prove. Dopo le belle notizie del mattino non aveva nessun diritto di avvelenarsi l'esistenza.
Si slacciò il colletto della camicia, allentò il nodo della cravatta e si sedette sulla sua poltroncina personale, rilassandosi completamente. E la sua mente cominciò a fantasticare. John Stockton era un uomo di quasi sessant'anni, 58 per la precisione, dall'aspetto piuttosto giovanile. Il merito era in gran parte dovuto all'assoluta mancanza di calvizie e al colore ancora quasi completamente nero dei folti capelli. Colore che non era frutto di una qualche miracolosa tintura, ma era proprio una dote naturale. Infatti Stockton sfoggiava anche una bellissima barba, nera anch'essa, e si sa che mentre tingere i capelli non è poi troppo difficile, tingere la barba è tutt'altra faccenda.
Tutto ciò, unito alla sua figura un po' robusta ma non grassa, contribuivano a dargli quell'aspetto sano e vigoroso che lui curava molto e che gli toglieva, nel giudizio della gente, almeno una decina d'anni. D'altra parte, un tipo giovanile Stockton lo era davvero anche sotto il profilo sessuale. Aveva sposato una donna un po' scialba, Janet, principalmente per i suoi soldi, ma non aveva mai smesso di correre dietro alla belle ragazze. E adesso che se lo poteva permettere le sceglieva sempre più giovani e le manteneva in appartamenti discreti, in periferia, in modo che fossero sempre disponibili, apposta per lui.
Come Jessica, la sua amante attuale. Un'adorabile mulatta, flessuosa come un giunco e bollente come un vulcano, che aveva appena 22 anni. Ma Stockton se la cavava benissimo anche con lei. Con molta cautela, ovviamente. Stockton aveva raggiunto da oltre sei anni il grado di presidente di sezione del Tribunale di Bristow e mai nessuno, a parte due o tre dei suoi amici più intimi, sapeva nulla delle sue piccole avventure. Ma loro tacevano, anche per motivi, diciamo così, di reciproca complicità, e nessun altro ne era informato.
Non lo sapeva sicuramente la moglie Janet, che viveva la sua vita grigia e tranquilla tra le quattro mura del loro appartamento, salvo qualche piccolo impegno mondano di tanto in tanto, ormai abituata agli orari impossibili del marito. E non lo sapevano neppure gli altri giudici, suoi colleghi ma anche rivali, visto che, in caso contrario, non sarebbe mai riuscito fare carriera fino a quel punto. Nemmeno i suoi amici di partito, erano informati, a parte il suo grande amico Simmons.
Adesso Stockton, seduto tranquillamente nel suo ufficio del Tribunale, stava fantasticando sulla sua elezione a sindaco, nel prossimo aprile. Sentiva che se fosse riuscito a farsi candidare avrebbe vinto sicuramente. Se lo sentiva. Ma... come fare per farsi candidare dal suo partito ? Il capo, Rex Chapman, era un tipo molto chiuso e lui non era sicuramente l'unico papabile. Certo, Lionel Simmons era dalla sua parte, e il capo dava sempre molto peso al giudizio di Lionel. Ma non poteva solo basarsi su così poco. Proprio una dannata situazione, si disse Stockton.
E poi, come se non bastasse, c'era la sua immagine familiare da curare. Simmons, ovviamente aveva ragione. Se voleva fare buona impressione sugli elettori doveva tornare a fare la parte del "bravo marito". Avrebbe dovuto diradare i suoi incontri con Jessica, era inevitabile. E per contro cercare di migliorare i suoi rapporti con quella stupida di Janet. Roba da sentirsi male solo a pensarlo. Eppure non aveva scelta. Proprio in quel momento il telefono trillò.
- Sì ? - fece Stockton
- C'è vostra moglie in linea. - disse Geena Howard, la sua segretaria personale – Ve la passo ?
Stockton era tentato di dirle di no, ma ormai era in ballo e doveva ballare. Se doveva mettersi a fare il bravo marito con Janet, tanto valeva incominciare subito.
- Ma sì, Geena - disse stancamente – passamela pure.

* * * * *

La telefonata di sua moglie Janet, nonostante il futile argomento, o, anzi, forse proprio per quello, ebbe il potere di irritarlo di nuovo. Come sempre. Anzi più di sempre, perchè adesso non poteva neanche più limitarsi ad ignorarla, come faceva prima, se ci teneva davvero alla candidatura. Più ci pensava più l'idea gli sembrava assolutamente insopportabile. Eppure non voleva rinunciare a quell'opportunità. Stockton era ambizioso, molto ambizioso. Aveva fatto carriera, sia nella magistratura che nel partito, aveva avuto molte soddisfazioni, ma quella era davvero un'altra cosa. Adesso aveva l'occasione della sua vita, un'occasione irripetibile. Non poteva farsela sfuggire.
Stockton non aveva dubbi che l'abbandono di Webb avrebbe dato la vittoria al loro partito. Nessuno poteva avere dei dubbi su questo. E c'era da scommettere che il loro candidato, una volta eletto, non avrebbe avuto davanti solo quattro anni, la durata in carica di un mandato, ma quasi sicuramente otto. Perchè una volta "in sella" avrebbe potuto puntare con successo alla rielezione, senza troppi problemi. Con quello, si sarebbe messo a posto per tutta la vita. Ma... e se il candidato eletto fosse stato qualcun altro? Che ne sarebbe stato di lui ? Inutile ingannarsi: sarebbe finita prima ancora di incominciare. Otto anni di attesa sarebbero stati troppi, e lui sarebbe finito fuori gioco in modo forse definitivo. No, il momento giusto era questo. E lui voleva la candidatura a qualsiasi costo.
Ripensò a Jessica, al suo corpo sinuoso, alla sua incredibile abilità nei giochi sessuali. Non avrebbe mai potuto rinunciare a lei per tanti mesi. E allora, come fare ? Per una strana associazione di idee, Stockton pensò a Trevor Ruffin, il sicario della malavita liberato quel pomeriggio. Ebbe un brillio negli occhi e in un attimo "seppe" qual era la cosa giusta da fare. Incominciò a rimuginarci sopra e più ci pensava più si rendeva conto che quella che gli era venuta in mente era la cosa migliore in assoluto. Non aveva dubbi. Avrebbe risolto in un colpo tutti i suoi problemi personali e, in più, gli avrebbe anche dato un aiuto decisivo per la sua carriera politica. Gli avrebbe fornito la spinta definitiva per ottenere la candidatura a sindaco e quindi, alla fin fine, anche la successiva elezione.
Stockton era un uomo attivo e intelligente e la sua mente, allenata da anni a lavorare su questioni difficili e delicate, era già al lavoro a pieno regime. Quindici minuti dopo, mentre scendeva con l'ascensore nel sotterraneo del Tribunale, diretto verso il garage per prendere l'auto, aveva già un piano ben chiaro in mente, definito in ogni dettaglio e pronto per essere messo in pratica. Un piano perfetto che avrebbe funzionato a meraviglia. Il giudice Stockton salì sulla sua auto, una bellissima e costosa Maserati verde scuro, la mise in moto e uscì rapidamente dal sotterraneo, mentre un sorriso di trionfo si disegnava già prepotente sul suo viso.