Noi italiani siamo convinti che l’italiano si parla come si scrive e non è vero. Certo tra la grafia e la pronuncia non c’è la distanza che c’è in inglese, ma differenze ce ne sono molte.
Per cominciare, la divisione delle parole è ingannevole.
Prendiamo la frase: “La casa di mio zio è rossa”. Sembrano sette parole ma, per cominciare, “la” non è una parola a sé. L’articolo è proclitico, nel senso che non ha un accento suo, ma ha l’accento della parola che segue. E infatti noi pronunciamo “lacàsa”, non “la casa”.
Poi non diciamo “erossa” ma, “errossa”, perché il verbo “è” richiede il “raddoppiamento sintattico”, cioè il raddoppiamento della consonante seguente.
Ecco un caso di fonetica combinatoria. Esattamente come diciamo “vado arroma”, perché anche la preposizione “a” vuole anch’essa il raddoppiamento: “Lodìco attè”.
Perfino la preposizione “da” vuole il raddoppiamento, ed hanno ragione i toscani quando pronunciano: “Frallaltro questo lo sai datté”. Scriviamo “un piccolo” e leggiamo “umpiccolo”.
Spesso si elide la vocale finale se la parola seguente comincia per vocale, come nella frase: “Credall’animimmortale”.
Gianni Pardo
Nessun commento:
Posta un commento