domenica 11 maggio 2014

L'attentato fallito - 8

Cap. 8 - Lunedì


I giornali di lunedì erano ovviamente pieni di pagine, articoli e foto sugli ultimi sviluppi del caso Stockton. Il Bristow Today, che Ben leggeva tutti i giorni, dedicava una pagina intera, piene di foto, a ciascuno dei due protagonisti principali, la vittima e il suo killer, ricostruendo per quanto possibile la loro vita passata.
Altre pagine riportavano una serie di interviste. C'era quella ufficiale del capo della polizia, Vernon Fleming, che riepilogava a beneficio dei giornalisti tutta la dinamica dei fatti e quella con il portavoce dell'ufficio del procuratore distrettuale, che spiegava come si sarebbe sviluppato l'iter giudiziario della vicenda. Poi c'era quella, ottenuta con una certa difficoltà, ma alla fine concessa, con la vedova del giudice Stockton, che mostrava il profondo dolore della povera donna.
Infine c'erano altre interviste, più brevi, ma non per questo meno interessanti, con varie persone che avevano conosciuto i protagonisti, fatte con lo scopo di mostrare ai lettori il lato più umano e personale della vicenda. Un aspetto che al pubblico piaceva sempre moltissimo.
Così erano stati rintracciati e intervistati gli amici del club di Stockton, alcuni suoi colleghi di Tribunale, compresa Geena Howard, la segretaria; poi Delly Marshall, la cameriera di casa Stockton, alcuni vicini di casa di Trevor Ruffin e l'avvocato che l'aveva difeso nell'ultimo processo.
Nonostante fossero le dieci del mattino, Ben Wallace se ne stava comodamente seduto alla scrivania, leggendo avidamente tutto quello che il giornale riportava sull'argomento. D'altra parte non aveva nessun lavoro particolare da fare quella mattina. O meglio così si era convinto, per giustificare il suo dolce far niente, dal momento che, se davvero avesse voluto, c’era ancora qualche lavoretto arretrato da finire. Ma anche un probo investigatore privato ha diritto, qualche volta, a raccontarsi qualche piccola bugia.
Ben notò che Tina Perry non veniva citata da nessuna parte, il che voleva dire che, all'infuori di lui, nessuno sapeva della sua attuale relazione con Trevor Ruffin. Beh, pensò Ben con un sorriso orgoglioso, anch'io ho le mie informazioni esclusive. Mentre leggeva l'intervista a Delly Marshall, la cameriera, Ben percepì una vaga, stranissima sensazione. Il nome gli diceva qualcosa e anche la foto gli dava un'impressione strana. Non di averla già vista, questo no. Piuttosto come se assomigliasse a una persona che invece ben conosceva. Ma era soprattutto il nome a incuriosirlo, o meglio il cognome. Marshall, Marshall...
- Ci sono ! - esclamò rivolto a se stesso.
Marshall era il nome da ragazza di Tina Perry, l'amante di Ruffin. E Marshall era anche il cognome della cameriera della vittima. Una coincidenza ben strana, a pensarci bene. Certo Marshall non era un cognome particolarmente raro, dalle loro parti. Ma Ben aveva imparato a non trascurare mai le coincidenze. E se fossero state parenti ? Sorelle, magari... Ma certo ! Ecco a chi assomigliava Delly: a Tina Perry, nata Marshall. Due sorelle... perchè no ?
Non c'era che un modo per scoprirlo: telefonare a Elliot Perry. A quell'ora non era certo a casa, ma Ben aveva anche il numero della fabbrica dove lavorava. Sarebbe stata una cosa di un attimo. Perry fu rintracciato in pochi minuti e prese il telefono più sorpreso che contrariato.
- Sì ? Chi mi vuole ?
- Sono Wallace, signor Perry. L'investigatore.
- Ah, siete voi. Qualche altro problema ?
- No, ho solo bisogno di farvi una domanda.
- Ma state ancora lavorando al mio caso ? Non ce n'è bisogno. Vi assicuro che è già tutto finito. Ho parlato chiaro con mia moglie e lei se ne andata senza dire una parola. Non ha neanche provato a negare.
- Meglio così. - si lasciò scappare Ben.
- Sì, meglio così. E poi... - continuò Perry abbassando la voce - non credo di avere altri soldi da spendere per questa storia.
- State tranquillo, anche per me è tutto finito. Mi serve solo un'informazione. Una cosa semplicissima, poi vi lascio tornare al vostro lavoro. Per caso vostra moglie ha una sorella ?
- Sì certo. Non ve ne ho parlato, vero ?
- No. D'altra parte non era necessario per l'incarico che mi avevate affidato. Come si chiama questa sorella ?
- Delly.
Tombola, si disse Ben. Tutto quadra.
- Scommetto che ha più o meno l'età di Tina e le assomiglia abbastanza.
- Proprio così. Ha solo un anno in più. Però non è sposata.
- E scommetto che fa la cameriera a casa del giudice Stockton, quello che hanno ammazzato sabato.
Elliot Perry aveva visto la notizia in televisione, come tutti, ma non aveva approfondito molto sui giornali.
- Sì, esatto. Avete visto la sua foto sul giornale, vero ?
- Sì.
- La cosa vi interessa ?
Proprio così, pensò Ben, ma non era il caso di dare troppa pubblicità alla cosa con il suo ex cliente.
- Non particolarmente. - disse con noncuranza - Era solo una mia curiosità.
- Bene. Allora posso ritornare al lavoro.
- Sì certo, fate pure. E scusate se vi ho disturbato.
- Non c'è di che. - concluse Perry, lasciando invece capire di essere stato disturbato malvolentieri.
Ben posò il telefono e si appoggiò allo schienale della poltroncina. Socchiuse gli occhi per concentrarsi meglio, e incominciò a far girare il cervello a tutta velocità. Troppe coincidenze in quella storia, accidenti, troppi fatti strani. E di nuovo la sensazione di avere già visto anche Janet Stockton. Si alzò di colpo e andò a prendere la cartelletta che conteneva il materiale raccolto su Tina Perry. Si risedette alla scrivania e ricominciò ad esaminare con cura tutte le foto che aveva scattato. Anche quelle inutili o mal riuscite, che non aveva inserito nella relazione finale per il cliente.
E finalmente la vide. Era un po' sfuocata, ma si vedeva chiaramente Janet Stockton dietro la vetrata di un bar che parlava con un uomo. L'uomo era in ombra e non era possibile riconoscerlo solo guardando la foto. Ma lui sapeva chi era, perchè li aveva visti di persona, mentre stava là davanti al bar, con la macchina fotografica in mano. La foto era stata scattata il venerdì precedente, nel primo pomeriggio, e quell'uomo non era altri che l'amante di Tina Perry: Trevor Ruffin.
No, si disse Ben con un sorriso, davvero troppe coincidenze, in questa storia. Adesso aveva bisogno di mettere giù le sue idee per essere sicuro di non dimenticare niente e poterle poi ricontrollare con calma. Era quasi sicuro di essere sulla strada giusta, ma non voleva correre il rischio di prendere un abbaglio per troppa precipitazione.
Ben dispose davanti a sè tutto il materiale di cui disponeva, che consistevano in alcuni ritagli di giornale, una copia della relazione che aveva fatto per Perry ed una serie di foto, alcune normali, altre ritagliate dal giornale. Il suo sguardo passava velocemente da un documento all’altro, con eccitazione appena contenuta.
Punto primo: sappiamo che l'assassinio del giudice Stockton è stato materialmente Trevor Ruffin, ma non conosciamo il mandante. Punto secondo: Tina Perry e Delly Marshall, la cameriera di casa Stockton, sono sorelle. Punto terzo: Janet Stockton, la vedova inconsolabile, si è incontrata con Trevor Ruffin proprio il giorno prima dell'attentato. Punto quarto: Trevor Ruffin era l'amante di Tina Perry. Ergo: il mandante dell'omicidio non può essere altri che la moglie Janet.
Ma quale poteva essere il movente ? Ben si rese conto che il problema era davvero delicato. Mettiamo pure che, come si diceva in giro, il giudice Stockton fosse un donnaiolo. Perchè ammazzare proprio lui ? Se Janet Stockton ci teneva tanto al marito, perché non far fuori la rivale ? Sarebbe stato sicuramente più logico, anche se nelle faccende di cuore, la logica non contava mai molto.
A meno che…. Ben si mise a sfogliare gli articoli finchè non ritrovò quello che cercava. Era la deposizione di un testimone oculare, un tale che si trovava a passare sul marciapiede proprio mentre i coniugi Stockton uscivano dal portone. Ben incominciò a leggere:
"Ho visto il giudice tirare fuori una sigaretta e cercare di accenderla. Però l'accendino gli è scappato di mano e lui si è chinato per prenderlo. E' rimasto chinato per qualche attimo, come se non riuscisse a prenderlo in mano e intanto guardava davanti a sè, dall'altra parte della strada. Poi si è rialzato con lo sguardo perplesso ed è stato colpito".
Che cosa diavolo stava guardando, Stockton, si chiese Ben ? Probabilmente aveva visto il killer che si preparava a sparare. O almeno era quello che avevano pensato tutti. In effetti, come aveva poi ricostruito la polizia, il killer era posteggiato in un auto proprio davanti alla First National Bank, dall'altra parte della strada.
Però non lo convinceva. A quell'ora di sera era buio, e Stockton non avrebbe potuto vedere un accidente. Lincoln Street era una via piuttosto larga e davanti alla banca l'illuminazione era quasi inesistente. Lui lo sapeva bene perchè una volta ci aveva fatto un appostamento. Inoltre, se il killer era in macchina, poteva spuntare al massimo solo il fucile.
Quindi, riepilogando, se la strada era larga, se là davanti era buio e se il killer era nascosto in macchina, come diavolo faceva Stockton a vederlo ? Ma non era tutto. Se davvero il giudice avesse visto un killer, avrebbe dovuto avere una faccia spaventata. Tanto più che qualche giorno prima aveva ricevuto una lettera minatoria e quindi doveva essere sul "chi vive". Invece, secondo il testimone, aveva un'espressione sorpresa. La cosa sembrava davvero un po' troppo strana.
A meno che…., si disse Ben eccitatissimo, Stockton non "sapesse" che dall'altra parte della strada c'era un killer. Ed era stupito perchè non sparava. Adesso quadrava. Accidenti se quadra. Era Janet il bersaglio del killer... E il marito era il mandante. Stockton aveva conosciuto Ruffin al processo e, pur avendolo assolto, sapeva che mestiere faceva. Niente di più facile che avesse deciso di ingaggiarlo per far fuori la moglie. Ma qualcosa era andato storto e il killer aveva sbagliato mira.
No, neppure. C’era la foto di Janet e Ruffin che cambiava la prospettiva. Ecco: Ruffin non aveva sbagliato bersaglio. L'aveva cambiato. Era stato ingaggiato da John per uccidere la moglie. Ma poi, in qualche modo, Janet era intervenuta nella faccenda e lui aveva fatto il gioco contrario. Diabolico.
E come poteva averlo saputo ? Semplice: tramite le sorelle Marshall. Ruffin aveva parlato dell'incarico alla sua amante, Tina. Tina ne aveva parlato con la sorella Delly. E Delly, a sua volta aveva avvertito la sua padrona. Che invece di denunciare il marito, aveva deciso di approfittarne a suo vantaggio.
Accidenti, che storia, pensò Ben. Ma c’era ancora un problema, un grosso problema da risolvere: non aveva assolutamente prove. Aveva la famosa foto di Janet con Ruffin, certo, ma non valeva praticamente nulla. Era solo la foto di Janet in un bar, e basta. Che l’uomo fosse Trevor Ruffin lo sapeva Ben, ma dalla foto non lo si riconosceva. E sua testimonianza, era davvero troppo poco per mandare in galera una persona importante come Janet Stockton.

* * * * *

L'orologio a muro dell'ingresso segnava le 14 e 36 quando Elliot Perry, finito il suo turno di lavoro, rientrò in casa. Il turno di mattina non era poi così male, se non per il fatto che incominciava alle sei e bisognava svegliarsi prestissimo per arrivare in orario. Sempre meglio comunque del turno di notte. Quello era davvero massacrante. Anche se erano anni che Perry faceva quella vita, non era ancora riuscito ad adattarsi del tutto.
Era stanco, ma non solo fisicamente. Si sentiva ancora più stanco del solito per via di quello che era successo con Tina. L'aveva messa di fronte alle sue responsabilità e lei non aveva neanche provato a protestare. Le aveva detto che fra loro era tutto finito, e che doveva andarsene. E lei se ne era andata senza fiatare. Sul momento si era sentito anche meglio. Come chi riesce a levarsi un peso che lo schiaccia. Ma poi le cose erano cambiate. Tina era sempre nei suoi pensieri e non riusciva a dimenticarla. Ma adesso non poteva più farci niente. L'aveva lasciata andare, anzi, meglio, l'aveva spinta ad andarsene, e adesso non sapeva più nemmeno dov'era.
Si tolse il giaccone impermeabile e lo appoggiò all'appendiabiti. Poi passò in bagno e si tolse le scarpe. Ma forse era giusto così. Non poteva, non doveva perdonarla. E il fatto di aver perso i contatti con lei era la cosa migliore. Non avrebbe più potuto tornare indietro e il tempo avrebbe finalmente richiuso quella ferita. In fondo erano passati solo pochi giorni. Troppo pochi per ritrovare la pace dentro di sè.
Passò di fianco al giradischi e lo accese. Aveva voglia di sentire musica, per cercare di distrarsi e non pensare troppo. Niente roba languida, voleva roba forte, per rintronarsi la testa. Prese un disco di Hard Rock e lo inserì nel lettore CD. Subito il fragore degli strumenti invase la stanza, e lui si trovò a seguirne il ritmo, senza pensare ad altro. Se non altro, funzionava.
Non aveva ancora mangiato, ma non aveva molta fame. Comunque qualcosa doveva buttare giù. Era stanchissimo e sapeva che, se voleva continuare a restare in forma per il suo lavoro, doveva nutrirsi. E in modo adeguato anche. Aprì il frigorifero, ne tolse due pacchetti e li posò sul tavolo. Poi prese un altro pacchetto dal freezer, tolse la carta che lo avvolgeva e lo infilò direttamente nel forno a microonde.
In quel momento suonò il campanello della porta. Elliot Perry andò ad aprire e si trovò di fronte l'inquilina del piano di sotto. Una signora messicana di mezza età con un sedere enorme.
- Senor Perry, scusatemi, ma il mio bambino dorme.
- E allora ? - chiese Perry senza capire bene cosa volesse la donna.
La vicina indicò con la mano l'interno dell'appartamento, dal quale veniva la musica rock a volume piuttosto alto.
- La musica, senor. Il mio bambino è ancora piccolo e a quest'ora deve dormire.
- Ah, già - borbottò Perry. Avrebbe dovuto pensarci, ma in quei giorni era già tanto se si ricordava come si chiamava.
- Se poteste abbassarlo un poco... - continuò la donna.
- Sì, certo. Lo spengo subito.
La donna gli sorrise.
- Gracias, senor.
Non era una piantagrane e aveva tutte le ragioni. Con quel rumore il bambino non poteva riposare. Aveva solo un anno e mezzo e, a quell'ora, fatta la "pappa" aveva proprio bisogno di dormire.
- Di nulla. - rispose Perry.
La donna se ne andò soddisfatta e Perry si affrettò a spegnere il lettore CD. Poi tornò in cucina per togliere il pranzo dal forno e, come per incanto, il pensiero di Tina si riaffacciò prepotente alla sua mente. La cucina era il posto che più gli evocava i ricordi della loro vita insieme. Forse perchè lei, nonostante tutto, era una brava cuoca. O forse perchè c'erano ancora tanti oggetti che gli parlavano di lei.
All'improvviso, senza una ragione apparente, gli venne voglia di andare a vedere che tipo era il gangster con il quale sua moglie se n'era andata. Da quando quell'investigatore privato, Wallace, gli aveva dato la relazione finale delle sue indagini, non l'aveva ancora guardata una sola volta.
Lasciò perdere il pranzo posato sul tavolo e si diresse verso la camera da letto. Aprì l'ultimo cassetto del suo comodino e ne estrasse un fascicoletto piegato in due. Si sedette sul bordo del letto, lo aprì e incominciò a sfogliarlo. Quando arrivò alle foto e vide quella di Trevor Ruffin restò di sasso.
Ma quello era il killer del giudice Stockton ! Non aveva letto molto i giornali, ma aveva visto la televisione e si ricordava perfettamente di aver visto la sua immagine durante il notiziario. Accidenti, che roba. E poi, subito dopo, un'altro pensiero si fece automaticamente strada dentro di lui. Ma Trevor Ruffin, adesso, è morto. E Tina ? Che ne è stato di lei ? Dov'è ora ? Con chi è ?
Il suono invadente del campanello della porta ruppe il silenzio della stanza e bloccò improvvisamente il corso dei suoi pensieri. Che accidenti voleva ancora la signora di sotto ? Aveva spento il suo stereo, no ? Disturbato da quella interruzione, Elliot Perry si alzò, decisamente contrariato, si diresse verso la porta e la aprì con un gesto secco.
- Ciao, Elliot. Mi fai entrare ?
Davanti a lui, con una valigia in mano, gli occhi leggermente rigati dalle lacrime e un sorriso mesto c'era Tina. Era bellissima. Elliot Perry fece un passo verso di lei, scoppiò a piangere e l'abbracciò stretta.

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