CAP. 1 - Lunedì
Era un
caldo pomeriggio di settembre, uno dei più caldi che Bristow avesse
avuto da parecchi anni. Il cielo era sempre sereno e l'aria mite,
addirittura tiepida anche nelle ore notturne. Victoria Alexander
sedette davanti allo specchio del camerino e iniziò a prepararsi
per il trucco. Aveva ancora più di un'ora di tempo, perchè fino
alle sette e mezzo non sarebbero andati in scena, ma a lei piaceva
fare le cose con calma. Le piaceva truccarsi (un po' meno
struccarsi, a dire il vero) e faceva quasi tutto da sola.
Il teatro
di Nelson non era uno dei più importanti in assoluto, ma aveva una
sua fama, soprattutto per gli spettacoli brillanti. Era stato
costruito quasi un secolo prima e aveva tenuto a battesimo molti
attori giovani che poi sarebbero diventati "qualcuno" nel
mondo del teatro americano. Per questo, il fatto di essere
riuscita a entrare nella compagnia stabile del teatro di Nelson
era stato per Victoria motivo di notevole soddisfazione. Un
traguardo importante della sua carriera di attrice.
Victoria
Alexander aveva poco più di 40 anni ed era un tipo molto giovanile.
Il corpo era ancora snello, pur senza essere esile, e lei lo
curava molto perchè sapeva bene quanto fosse importante, nel
suo mestiere, l'aspetto fisico. Il viso non era
bellissimo, ma interessante, con grandi occhi neri e un nasino
alla francese che tanto piaceva ai suoi ammiratori.
Adesso
stavano rappresentando una commedia brillante di un autore francese
che si intitolava "Il marito nell'armadio e l'amante sotto il
letto" e che lei trovava molto divertente. Era una classica
farsa dell'ottocento, con tutto l'armamentario tipico delle
situazioni del genere: mogli traditrici, mariti cornuti, servette
ficcanaso e scambi di persone. Il tutto però con dialoghi fini,
spiritosi e mai di cattivo gusto. Un bello spettacolo insomma. E
la gente se ne era accorta, perchè facevano il tutto esaurito
quasi tutte le sere.
Victoria
incominciò a spalmare il cerone sulla guancia destra quando fu
folgorata da un pensiero improvviso: era uscita di casa in fretta e
si era dimenticata di programmare il videoregistratore. Maledizione,
borbottò tra sè. Proprio quella sera c'era un dibattito sul
problema dell'aborto, un argomento che la interessava molto a
livello personale, e voleva assolutamente vederlo. Stava già per
lasciarsi andare a qualche sconveniente parolaccia, quando le venne
in mente che poteva benissimo lasciare l'incarico a Matt, suo
marito. Matt sarebbe ritornato dall'ufficio molto prima
dell'inizio del programma, quindi non c'era problema. Guardò
l'orologio: le sei e venti. Prese il telefono e formò il numero
della Eastern National Bank di Nelson.
- Eastern
National Bank, buonasera - disse una voce femminile molto
professionale.
- Vorrei
parlare col dottor Matt Bullard dell'ufficio Titoli. Sono la
moglie.
- Un
attimo prego.
Passarono
una decina di secondi, poi la voce riprese.
- Mi
dispiace, ma il dottor Bullard è già uscito mezz'ora fa.
Dovreste trovarlo a casa.
- Grazie.
Strano,
si disse Victoria. In genere è costretto a fermarsi in ufficio
fino a tardi. In questi giorni, poi, che io non ci sono, non ha
neanche la prospettiva di rientrare prima per cenare con me. Può
lavorare fino a tardi senza problemi, tanto poi deve passare la
serata da solo. Povero Matt, pensò Victoria. Ultimamente lo sto
trascurando un po'. Purtroppo il mio lavoro ha di questi orari
sballati, mentre lui fa la vita di una persona normale. E quando
mai possiamo incontrarci come si deve ? Pensò all'ultima volta che
erano riusciti a fare l'amore. Erano passati quasi due mesi. Per
forza ! Lei era sempre in teatro, la sera, e quando tornava a
casa, alle due o alle tre di notte, era così tardi che lui dormiva
già.
Victoria
Alexander rialzò il telefono e fece il numero di casa. Abitavano
abbastanza vicini alla sede della banca e sicuramente Matt era già
rientrato. Il telefono diede il segnale di libero, ma nessuno
rispondeva. lasciò squillare a vuoto per un po' poi riattaccò. Che
strano, si disse Victoria. Non è più in ufficio e non è
ancora a casa. Magari è andato a fare qualche commissione. Niente
di male, concluse guardando l'ora, avrebbe richiamato più
tardi. Victoria riprese il suo lavoro col cerone e continuò a
ripassare mentalmente la parte.
* * * * *
Vim Baker
posò il telefono con un gesto stizzoso. Aveva appena finito di
parlare con un giornalista e da quello che gli aveva detto, ma
ancora più da quello che "non" gli aveva detto, aveva
capito che qualcosa stava bollendo in pentola. Baker aveva 55 anni,
era alto e piuttosto corpulento, ma ancora forte e vigoroso. Era
afflitto da una notevole calvizie, che cercava di compensare
psicologicamente con un folto paio di baffi, di cui andava
(giustamente a dire il vero) assai orgoglioso.
Di nome
si chiamava Vim, un nome piuttosto strano che non sapeva bene dove
fossero andati a pescare i suoi genitori. Molta gente infatti
lo chiamava erroneamente Vin, convinta che fosse semplicemente il
diminutivo di Vincent. Ma non era vero. Lui cercava ogni tanto di
farlo presente, ma senza troppa convinzione, perchè gli altri
dicevano di sì e poi continuavano imperterriti a chiamarlo Vin.
Così era costretto a lasciar perdere per non rischiare di
diventare una macchietta.
Baker
aveva fatto per anni il commerciante. Aveva incominciato vendendo
la frutta e verdura ai mercati generali di Nelson e faceva affari
d'oro perchè come sapeva richiamare la folla lui, non ci riusciva
nessuno: un imbonitore nato. Appena messi da parte i soldi necessari,
era passato al commercio all'ingrosso. Aveva affittato un grande
magazzino alla periferia della città, sempre pieno di roba fino
all'inverosimile, e con la merce che faceva affluire da ogni parte
dell'america, roba di qualità, bisognava ammetterlo, riforniva
quasi tutti i migliori negozi del centro.
Gli
affari erano andati benissimo per molto tempo, poi avevano
incominciato a calare. Schiacciati dalla concorrenza dei
grandi supermercati, i piccoli negozietti del centro avevano
finito per chiudere uno dopo l'altro, e lui si era ritrovato
quasi senza clientela. Baker aveva cercato di correre ai ripari,
offrendosi di lavorare per i nuovi "padroni", ma era una
battaglia persa in partenza, perchè i supermercati facevano già
parte di grosse organizzazioni e non avevano bisogno di lui.
Giunto al
bivio della sua vita, Baker aveva dato retta al suo fiuto e
aveva mollato tutto prima che i debiti lo sommergessero. Aveva
"saltato il fosso" e aveva provato a darsi alla
politica: era stato un successone. Sfruttando la notorietà
acquisita in tanti anni di attività e l'indubbia capacità di
stare davanti a una folla, grazie anche all'appoggio di un
gruppo di amici influenti, si era presentato candidato alle
elezioni di tre anni prima e, tra lo stupore generale, (suo per
primo) era riuscito a farsi eleggere sindaco di Nelson a grande
maggioranza.
Ormai il
mandato era nella sua fase finale e l'anno prossimo ci sarebbero
state le nuove elezioni. Sicuramente Baker non avrebbe più avuto
il sostegno plebiscitario che aveva accompagnato la sua prima
elezione. Però non era impossibile pensare di essere rieletto.
Se non altro avrebbe potuto provarci con buone prospettive. Ma ecco
che il diavolo ci stava mettendo la coda. Si era accorto che i
giornali di Nelson, o almeno quella parte della stampa che gli era
sempre stata ostile, avevano incominciato a scavare intorno a
lui. Cercavano buoni motivi per metterlo in difficoltà e se
scavavano, Vim Baker lo sapeva, avrebbe sicuramente trovato qualcosa.
Perchè
Baker non era un cattivo sindaco. Tutto sommato, sapeva
amministrare ed era abbastanza intelligente da sapere quasi
sempre come comportarsi per fare bella figura con i suoi
concittadini. Il guaio era che rubava. Approfittava cioè della sua
carica per arraffare, in un modo o nell'altro, tutti i soldi
che poteva. Quasi ogni transazione rilevante decisa dal
municipio di Nelson portava tangenti nelle sue tasche. Appalti,
spese di manutenzione, gestioni di servizi pubblici: tutto faceva al
caso per intascare mazzette. Finora era andata bene, perchè, se
anche molti sospettavano qualcosa, prove evidenti dei suoi
traffici non ce n'erano molte. Baker era un tipo in gamba. Si
sforzava di muoversi in modo prudente e defilato, e in genere ci
riusciva. Certo, c'erano i suoi più stretti collaboratori, che
in molti casi non potevano non sapere. Ma anche loro non
avevano un vero interesse a smascherare il loro capo, che era
pur sempre la fonte legittima della loro posizione di privilegio.
Purtroppo
per la stampa il discorso era diverso. Se i giornali
dell'opposizione cercavano qualcosa per screditarlo, in vista
della prossima elezione, e decidevano di andare a fondo davvero,
qualcosa avrebbero trovato di certo. E a quel punto la sua
posizione avrebbe cominciato a vacillare un po' troppo in
fretta. Bastava qualche procuratore distrettuale in cerca di
notorietà che avesse fiutato il colpo della sua vita e sarebbe
stato nei guai. In un attimo il suo nome sarebbe passato dalla
pagine dei giornali agli avvisi giudiziari e addio rielezione.
Anche se
non fosse finito in galera (cosa comunque tutt’altro che facile),
gli sarebbe dispiaciuto finire così. Avrebbe preferito rimanere
ancora, accumulare altri soldi. D'altra parte, non c'era da
illudersi: con i giornalisti alle calcagna il suo posto era
segnato. Però doveva tenere la situazione sotto controllo e
trovare il modo di andarsene prima che le cose precipitassero,
senza lasciarsi travolgere.
Vim Baker
si appoggiò allo schienale della poltroncina ed emise un profondo
sospiro. Ma sì, ormai si era già divertito abbastanza. Tanto
valeva guardare in faccia la realtà ed accettarla. Oltretutto lui
non aveva famiglia, non aveva moglie e figli di cui preoccuparsi.
E questo, dal suo punto di vista, era indubbiamente un
grosso vantaggio. Il sole stava tramontando lentamente, lontano
sull'orizzonte. Vim Baker indugiò con lo sguardo fuori dalla
finestra e un lieve sorriso increspò le sue labbra, mentre
ripensava a quello che aveva preparato per proteggere il suo futuro.
* * * * *
Le sette
e venti. Mancavano solo dieci minuti ad andare in scena e
Victoria Alexander riprese il telefono per la terza volta. Aveva già
richiamato una seconda volta, alle sette, mentre si truccava e
Matt non era ancora arrivato. Accidenti, ma dove diavolo era
andato ? Formò il numero e attese mentre il telefono squillava.
Tre squilli, cinque, otto. Stava per riattaccare quando la
cornetta venne sollevata e una voce affannata rispose.
- Matt
Bullard, chi parla ?
- Matt
sono io, Victoria.
-
Accidenti, - disse Matt ansando - sono arrivato in questo momento
dall'ufficio. Ho sentito squillare dalle scale.
Victoria
fissò il microfono con gli occhi sbarrati. Dall'ufficio ? Ma Matt
era uscito dalla banca molto prima. Perchè le mentiva ?
-
Victoria, pronto ? Sei lì ?
- Si sono
qui, scusa. - disse lei riavendosi subito
- Dimmi.
Cosa volevi ?
- E' per
il videoregistratore. Mi sono dimenticata di programmarlo per
stasera. Puoi farlo tu, per piacere ?
- Certo.
Cosa ti registro ?
- Il
dibattito sull'aborto, alle nove sulla CBS.
- Ok.
Quanto dovrebbe durare ?
-
Un'oretta credo. Tu comunque abbonda col "timer".
- Non c'è
problema. Userò una cassetta da 2 ore. Magari lo guardo
anch'io.
- Ecco sì,
così poi ne discutiamo insieme.
- Uno di
questi giorni, magari la prossima settimana... - disse Matt Bullard
cupo.
- Come,
scusa ?
- Voglio
dire quando troviamo un momento di tempo, ecco.
- Sì,
appunto. Ora ti lascio, che è tardi.
- Vai
pure. Ciao amore - disse Matt - E buon lavoro.
- Ciao
Matt - disse lei con la mente che turbinava di mille pensieri.
Victoria
Alexander posò il telefono come in trance. Mi ha mentito, si
ripeteva. Mi ha mentito ! Ma perchè ? Che ci sia un'altra donna ?
Impossibile ! Ma perchè impossibile ? Dopotutto era ben cosciente
che il loro legame non era più saldo come una volta. Facevano
l'amore sempre più di rado e forse questo a Matt pesava più di
quanto non fosse disposto ad ammettere. Anche adesso, con quella
battuta sulla "prossima settimana". Ma lei lo amava. Non
voleva perderlo. Non poteva accettare che Matt avesse un'altra
donna.
- Victoria
in scena - disse una voce perentoria fuori dal camerino.
Quella
voce ebbe il potere di farla tornare alla realtà. C'era la
commedia, il suo lavoro, che non poteva aspettare. Ai suoi
problemi personali avrebbe pensato più tardi. Si diede un'ultima
occhiata allo specchio, aprì la porta e si diresse con passo
deciso verso il palcoscenico.
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