domenica 15 dicembre 2013

La tana della volpe - 1

CAP. 1 - Lunedì


Era un caldo pomeriggio di settembre, uno dei più caldi che Bristow avesse avuto da parecchi anni. Il cielo era sempre sereno e l'aria mite, addirittura tiepida anche nelle ore notturne. Victoria Alexander sedette davanti allo specchio del camerino e iniziò a prepararsi per il trucco. Aveva ancora più di un'ora di tempo, perchè fino alle sette e mezzo non sarebbero andati in scena, ma a lei piaceva fare le cose con calma. Le piaceva truccarsi (un po' meno struccarsi, a dire il vero) e faceva quasi tutto da sola.
Il teatro di Nelson non era uno dei più importanti in assoluto, ma aveva una sua fama, soprattutto per gli spettacoli brillanti. Era stato costruito quasi un secolo prima e aveva tenuto a battesimo molti attori giovani che poi sarebbero diventati "qualcuno" nel mondo del teatro americano. Per questo, il fatto di essere riuscita a entrare nella compagnia stabile del teatro di Nelson era stato per Victoria motivo di notevole soddisfazione. Un traguardo importante della sua carriera di attrice.
Victoria Alexander aveva poco più di 40 anni ed era un tipo molto giovanile. Il corpo era ancora snello, pur senza essere esile, e lei lo curava molto perchè sapeva bene quanto fosse importante, nel suo mestiere, l'aspetto fisico. Il viso non era bellissimo, ma interessante, con grandi occhi neri e un nasino alla francese che tanto piaceva ai suoi ammiratori.
Adesso stavano rappresentando una commedia brillante di un autore francese che si intitolava "Il marito nell'armadio e l'amante sotto il letto" e che lei trovava molto divertente. Era una classica farsa dell'ottocento, con tutto l'armamentario tipico delle situazioni del genere: mogli traditrici, mariti cornuti, servette ficcanaso e scambi di persone. Il tutto però con dialoghi fini, spiritosi e mai di cattivo gusto. Un bello spettacolo insomma. E la gente se ne era accorta, perchè facevano il tutto esaurito quasi tutte le sere.
Victoria incominciò a spalmare il cerone sulla guancia destra quando fu folgorata da un pensiero improvviso: era uscita di casa in fretta e si era dimenticata di programmare il videoregistratore. Maledizione, borbottò tra sè. Proprio quella sera c'era un dibattito sul problema dell'aborto, un argomento che la interessava molto a livello personale, e voleva assolutamente vederlo. Stava già per lasciarsi andare a qualche sconveniente parolaccia, quando le venne in mente che poteva benissimo lasciare l'incarico a Matt, suo marito. Matt sarebbe ritornato dall'ufficio molto prima dell'inizio del programma, quindi non c'era problema. Guardò l'orologio: le sei e venti. Prese il telefono e formò il numero della Eastern National Bank di Nelson.
- Eastern National Bank, buonasera - disse una voce femminile molto professionale.
- Vorrei parlare col dottor Matt Bullard dell'ufficio Titoli. Sono la moglie.
- Un attimo prego.
Passarono una decina di secondi, poi la voce riprese.
- Mi dispiace, ma il dottor Bullard è già uscito mezz'ora fa. Dovreste trovarlo a casa.
- Grazie.
Strano, si disse Victoria. In genere è costretto a fermarsi in ufficio fino a tardi. In questi giorni, poi, che io non ci sono, non ha neanche la prospettiva di rientrare prima per cenare con me. Può lavorare fino a tardi senza problemi, tanto poi deve passare la serata da solo. Povero Matt, pensò Victoria. Ultimamente lo sto trascurando un po'. Purtroppo il mio lavoro ha di questi orari sballati, mentre lui fa la vita di una persona normale. E quando mai possiamo incontrarci come si deve ? Pensò all'ultima volta che erano riusciti a fare l'amore. Erano passati quasi due mesi. Per forza ! Lei era sempre in teatro, la sera, e quando tornava a casa, alle due o alle tre di notte, era così tardi che lui dormiva già.
Victoria Alexander rialzò il telefono e fece il numero di casa. Abitavano abbastanza vicini alla sede della banca e sicuramente Matt era già rientrato. Il telefono diede il segnale di libero, ma nessuno rispondeva. lasciò squillare a vuoto per un po' poi riattaccò. Che strano, si disse Victoria. Non è più in ufficio e non è ancora a casa. Magari è andato a fare qualche commissione. Niente di male, concluse guardando l'ora, avrebbe richiamato più tardi. Victoria riprese il suo lavoro col cerone e continuò a ripassare mentalmente la parte.

* * * * *

Vim Baker posò il telefono con un gesto stizzoso. Aveva appena finito di parlare con un giornalista e da quello che gli aveva detto, ma ancora più da quello che "non" gli aveva detto, aveva capito che qualcosa stava bollendo in pentola. Baker aveva 55 anni, era alto e piuttosto corpulento, ma ancora forte e vigoroso. Era afflitto da una notevole calvizie, che cercava di compensare psicologicamente con un folto paio di baffi, di cui andava (giustamente a dire il vero) assai orgoglioso.
Di nome si chiamava Vim, un nome piuttosto strano che non sapeva bene dove fossero andati a pescare i suoi genitori. Molta gente infatti lo chiamava erroneamente Vin, convinta che fosse semplicemente il diminutivo di Vincent. Ma non era vero. Lui cercava ogni tanto di farlo presente, ma senza troppa convinzione, perchè gli altri dicevano di sì e poi continuavano imperterriti a chiamarlo Vin. Così era costretto a lasciar perdere per non rischiare di diventare una macchietta.
Baker aveva fatto per anni il commerciante. Aveva incominciato vendendo la frutta e verdura ai mercati generali di Nelson e faceva affari d'oro perchè come sapeva richiamare la folla lui, non ci riusciva nessuno: un imbonitore nato. Appena messi da parte i soldi necessari, era passato al commercio all'ingrosso. Aveva affittato un grande magazzino alla periferia della città, sempre pieno di roba fino all'inverosimile, e con la merce che faceva affluire da ogni parte dell'america, roba di qualità, bisognava ammetterlo, riforniva quasi tutti i migliori negozi del centro.
Gli affari erano andati benissimo per molto tempo, poi avevano incominciato a calare. Schiacciati dalla concorrenza dei grandi supermercati, i piccoli negozietti del centro avevano finito per chiudere uno dopo l'altro, e lui si era ritrovato quasi senza clientela. Baker aveva cercato di correre ai ripari, offrendosi di lavorare per i nuovi "padroni", ma era una battaglia persa in partenza, perchè i supermercati facevano già parte di grosse organizzazioni e non avevano bisogno di lui.
Giunto al bivio della sua vita, Baker aveva dato retta al suo fiuto e aveva mollato tutto prima che i debiti lo sommergessero. Aveva "saltato il fosso" e aveva provato a darsi alla politica: era stato un successone. Sfruttando la notorietà acquisita in tanti anni di attività e l'indubbia capacità di stare davanti a una folla, grazie anche all'appoggio di un gruppo di amici influenti, si era presentato candidato alle elezioni di tre anni prima e, tra lo stupore generale, (suo per primo) era riuscito a farsi eleggere sindaco di Nelson a grande maggioranza.
Ormai il mandato era nella sua fase finale e l'anno prossimo ci sarebbero state le nuove elezioni. Sicuramente Baker non avrebbe più avuto il sostegno plebiscitario che aveva accompagnato la sua prima elezione. Però non era impossibile pensare di essere rieletto. Se non altro avrebbe potuto provarci con buone prospettive. Ma ecco che il diavolo ci stava mettendo la coda. Si era accorto che i giornali di Nelson, o almeno quella parte della stampa che gli era sempre stata ostile, avevano incominciato a scavare intorno a lui. Cercavano buoni motivi per metterlo in difficoltà e se scavavano, Vim Baker lo sapeva, avrebbe sicuramente trovato qualcosa.
Perchè Baker non era un cattivo sindaco. Tutto sommato, sapeva amministrare ed era abbastanza intelligente da sapere quasi sempre come comportarsi per fare bella figura con i suoi concittadini. Il guaio era che rubava. Approfittava cioè della sua carica per arraffare, in un modo o nell'altro, tutti i soldi che poteva. Quasi ogni transazione rilevante decisa dal municipio di Nelson portava tangenti nelle sue tasche. Appalti, spese di manutenzione, gestioni di servizi pubblici: tutto faceva al caso per intascare mazzette. Finora era andata bene, perchè, se anche molti sospettavano qualcosa, prove evidenti dei suoi traffici non ce n'erano molte. Baker era un tipo in gamba. Si sforzava di muoversi in modo prudente e defilato, e in genere ci riusciva. Certo, c'erano i suoi più stretti collaboratori, che in molti casi non potevano non sapere. Ma anche loro non avevano un vero interesse a smascherare il loro capo, che era pur sempre la fonte legittima della loro posizione di privilegio.
Purtroppo per la stampa il discorso era diverso. Se i giornali dell'opposizione cercavano qualcosa per screditarlo, in vista della prossima elezione, e decidevano di andare a fondo davvero, qualcosa avrebbero trovato di certo. E a quel punto la sua posizione avrebbe cominciato a vacillare un po' troppo in fretta. Bastava qualche procuratore distrettuale in cerca di notorietà che avesse fiutato il colpo della sua vita e sarebbe stato nei guai. In un attimo il suo nome sarebbe passato dalla pagine dei giornali agli avvisi giudiziari e addio rielezione.
Anche se non fosse finito in galera (cosa comunque tutt’altro che facile), gli sarebbe dispiaciuto finire così. Avrebbe preferito rimanere ancora, accumulare altri soldi. D'altra parte, non c'era da illudersi: con i giornalisti alle calcagna il suo posto era segnato. Però doveva tenere la situazione sotto controllo e trovare il modo di andarsene prima che le cose precipitassero, senza lasciarsi travolgere.
Vim Baker si appoggiò allo schienale della poltroncina ed emise un profondo sospiro. Ma sì, ormai si era già divertito abbastanza. Tanto valeva guardare in faccia la realtà ed accettarla. Oltretutto lui non aveva famiglia, non aveva moglie e figli di cui preoccuparsi. E questo, dal suo punto di vista, era indubbiamente un grosso vantaggio. Il sole stava tramontando lentamente, lontano sull'orizzonte. Vim Baker indugiò con lo sguardo fuori dalla finestra e un lieve sorriso increspò le sue labbra, mentre ripensava a quello che aveva preparato per proteggere il suo futuro.

* * * * *

Le sette e venti. Mancavano solo dieci minuti ad andare in scena e Victoria Alexander riprese il telefono per la terza volta. Aveva già richiamato una seconda volta, alle sette, mentre si truccava e Matt non era ancora arrivato. Accidenti, ma dove diavolo era andato ? Formò il numero e attese mentre il telefono squillava. Tre squilli, cinque, otto. Stava per riattaccare quando la cornetta venne sollevata e una voce affannata rispose.
- Matt Bullard, chi parla ?
- Matt sono io, Victoria.
- Accidenti, - disse Matt ansando - sono arrivato in questo momento dall'ufficio. Ho sentito squillare dalle scale.
Victoria fissò il microfono con gli occhi sbarrati. Dall'ufficio ? Ma Matt era uscito dalla banca molto prima. Perchè le mentiva ?
- Victoria, pronto ? Sei lì ?
- Si sono qui, scusa. - disse lei riavendosi subito
- Dimmi. Cosa volevi ?
- E' per il videoregistratore. Mi sono dimenticata di programmarlo per stasera. Puoi farlo tu, per piacere ?
- Certo. Cosa ti registro ?
- Il dibattito sull'aborto, alle nove sulla CBS.
- Ok. Quanto dovrebbe durare ?
- Un'oretta credo. Tu comunque abbonda col "timer".
- Non c'è problema. Userò una cassetta da 2 ore. Magari lo guardo anch'io.
- Ecco sì, così poi ne discutiamo insieme.
- Uno di questi giorni, magari la prossima settimana... - disse Matt Bullard cupo.
- Come, scusa ?
- Voglio dire quando troviamo un momento di tempo, ecco.
- Sì, appunto. Ora ti lascio, che è tardi.
- Vai pure. Ciao amore - disse Matt - E buon lavoro.
- Ciao Matt - disse lei con la mente che turbinava di mille pensieri.
Victoria Alexander posò il telefono come in trance. Mi ha mentito, si ripeteva. Mi ha mentito ! Ma perchè ? Che ci sia un'altra donna ? Impossibile ! Ma perchè impossibile ? Dopotutto era ben cosciente che il loro legame non era più saldo come una volta. Facevano l'amore sempre più di rado e forse questo a Matt pesava più di quanto non fosse disposto ad ammettere. Anche adesso, con quella battuta sulla "prossima settimana". Ma lei lo amava. Non voleva perderlo. Non poteva accettare che Matt avesse un'altra donna.
- Victoria in scena - disse una voce perentoria fuori dal camerino.
Quella voce ebbe il potere di farla tornare alla realtà. C'era la commedia, il suo lavoro, che non poteva aspettare. Ai suoi problemi personali avrebbe pensato più tardi. Si diede un'ultima occhiata allo specchio, aprì la porta e si diresse con passo deciso verso il palcoscenico.

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