Cap. 8 - Lunedì
I giornali di lunedì
erano ovviamente pieni di pagine, articoli e foto sugli ultimi
sviluppi del caso Stockton. Il Bristow Today, che Ben leggeva
tutti i giorni, dedicava una pagina intera, piene di foto, a
ciascuno dei due protagonisti principali, la vittima e il
suo killer, ricostruendo per quanto possibile la loro vita
passata.
Altre pagine
riportavano una serie di interviste. C'era quella ufficiale del
capo della polizia, Vernon Fleming, che riepilogava a beneficio dei
giornalisti tutta la dinamica dei fatti e quella con il portavoce
dell'ufficio del procuratore distrettuale, che spiegava come si
sarebbe sviluppato l'iter giudiziario della vicenda. Poi c'era
quella, ottenuta con una certa difficoltà, ma alla fine concessa,
con la vedova del giudice Stockton, che mostrava il profondo dolore
della povera donna.
Infine c'erano altre
interviste, più brevi, ma non per questo meno interessanti, con
varie persone che avevano conosciuto i protagonisti, fatte con lo
scopo di mostrare ai lettori il lato più umano e personale della
vicenda. Un aspetto che al pubblico piaceva sempre moltissimo.
Così erano stati
rintracciati e intervistati gli amici del club di Stockton, alcuni
suoi colleghi di Tribunale, compresa Geena Howard, la segretaria;
poi Delly Marshall, la cameriera di casa Stockton, alcuni vicini
di casa di Trevor Ruffin e l'avvocato che l'aveva difeso
nell'ultimo processo.
Nonostante fossero le
dieci del mattino, Ben Wallace se ne stava comodamente seduto
alla scrivania, leggendo avidamente tutto quello che il
giornale riportava sull'argomento. D'altra parte non aveva nessun
lavoro particolare da fare quella mattina. O meglio così si era
convinto, per giustificare il suo dolce far niente, dal momento
che, se davvero avesse voluto, c’era ancora qualche lavoretto
arretrato da finire. Ma anche un probo investigatore privato
ha diritto, qualche volta, a raccontarsi qualche piccola bugia.
Ben notò che Tina
Perry non veniva citata da nessuna parte, il che voleva dire
che, all'infuori di lui, nessuno sapeva della sua attuale
relazione con Trevor Ruffin. Beh, pensò Ben con un sorriso
orgoglioso, anch'io ho le mie informazioni esclusive. Mentre leggeva
l'intervista a Delly Marshall, la cameriera, Ben percepì una
vaga, stranissima sensazione. Il nome gli diceva qualcosa e
anche la foto gli dava un'impressione strana. Non di averla
già vista, questo no. Piuttosto come se assomigliasse a una
persona che invece ben conosceva. Ma era soprattutto il nome a
incuriosirlo, o meglio il cognome. Marshall, Marshall...
- Ci sono ! - esclamò
rivolto a se stesso.
Marshall era il nome da
ragazza di Tina Perry, l'amante di Ruffin. E Marshall era anche il
cognome della cameriera della vittima. Una coincidenza ben
strana, a pensarci bene. Certo Marshall non era un cognome
particolarmente raro, dalle loro parti. Ma Ben aveva imparato a non
trascurare mai le coincidenze. E se fossero state parenti ? Sorelle,
magari... Ma certo ! Ecco a chi assomigliava Delly: a Tina
Perry, nata Marshall. Due sorelle... perchè no ?
Non c'era che un modo
per scoprirlo: telefonare a Elliot Perry. A quell'ora non era certo
a casa, ma Ben aveva anche il numero della fabbrica dove lavorava.
Sarebbe stata una cosa di un attimo. Perry fu rintracciato in pochi
minuti e prese il telefono più sorpreso che contrariato.
- Sì ? Chi mi vuole ?
- Sono Wallace, signor
Perry. L'investigatore.
- Ah, siete voi. Qualche
altro problema ?
- No, ho solo bisogno di
farvi una domanda.
- Ma state ancora
lavorando al mio caso ? Non ce n'è bisogno. Vi assicuro che
è già tutto finito. Ho parlato chiaro con mia moglie e lei se
ne andata senza dire una parola. Non ha neanche provato a
negare.
- Meglio così. - si
lasciò scappare Ben.
- Sì, meglio così. E
poi... - continuò Perry abbassando la voce - non credo di avere
altri soldi da spendere per questa storia.
- State tranquillo,
anche per me è tutto finito. Mi serve solo un'informazione.
Una cosa semplicissima, poi vi lascio tornare al vostro lavoro. Per
caso vostra moglie ha una sorella ?
- Sì certo. Non ve ne
ho parlato, vero ?
- No. D'altra parte
non era necessario per l'incarico che mi avevate affidato. Come si
chiama questa sorella ?
- Delly.
Tombola, si disse Ben.
Tutto quadra.
- Scommetto che ha più
o meno l'età di Tina e le assomiglia abbastanza.
- Proprio così. Ha solo
un anno in più. Però non è sposata.
- E scommetto che fa la
cameriera a casa del giudice Stockton, quello che hanno ammazzato
sabato.
Elliot Perry aveva
visto la notizia in televisione, come tutti, ma non aveva
approfondito molto sui giornali.
- Sì, esatto. Avete
visto la sua foto sul giornale, vero ?
- Sì.
- La cosa vi interessa ?
Proprio così, pensò
Ben, ma non era il caso di dare troppa pubblicità alla cosa
con il suo ex cliente.
- Non particolarmente.
- disse con noncuranza - Era solo una mia curiosità.
- Bene. Allora posso
ritornare al lavoro.
- Sì certo, fate pure.
E scusate se vi ho disturbato.
- Non c'è di che. -
concluse Perry, lasciando invece capire di essere stato disturbato
malvolentieri.
Ben posò il
telefono e si appoggiò allo schienale della poltroncina.
Socchiuse gli occhi per concentrarsi meglio, e incominciò a far
girare il cervello a tutta velocità. Troppe coincidenze in quella
storia, accidenti, troppi fatti strani. E di nuovo la
sensazione di avere già visto anche Janet Stockton. Si alzò di
colpo e andò a prendere la cartelletta che conteneva il materiale
raccolto su Tina Perry. Si risedette alla scrivania e
ricominciò ad esaminare con cura tutte le foto che aveva
scattato. Anche quelle inutili o mal riuscite, che non aveva
inserito nella relazione finale per il cliente.
E finalmente la
vide. Era un po' sfuocata, ma si vedeva chiaramente Janet Stockton
dietro la vetrata di un bar che parlava con un uomo. L'uomo era
in ombra e non era possibile riconoscerlo solo guardando la foto.
Ma lui sapeva chi era, perchè li aveva visti di persona, mentre
stava là davanti al bar, con la macchina fotografica in mano. La
foto era stata scattata il venerdì precedente, nel primo
pomeriggio, e quell'uomo non era altri che l'amante di Tina
Perry: Trevor Ruffin.
No, si disse Ben con
un sorriso, davvero troppe coincidenze, in questa storia. Adesso
aveva bisogno di mettere giù le sue idee per essere sicuro di non
dimenticare niente e poterle poi ricontrollare con calma. Era quasi
sicuro di essere sulla strada giusta, ma non voleva correre il
rischio di prendere un abbaglio per troppa precipitazione.
Ben dispose davanti a
sè tutto il materiale di cui disponeva, che consistevano in alcuni
ritagli di giornale, una copia della relazione che aveva fatto per
Perry ed una serie di foto, alcune normali, altre ritagliate dal
giornale. Il suo sguardo passava velocemente da un documento
all’altro, con eccitazione appena contenuta.
Punto primo: sappiamo
che l'assassinio del giudice Stockton è stato materialmente Trevor
Ruffin, ma non conosciamo il mandante. Punto secondo: Tina Perry e
Delly Marshall, la cameriera di casa Stockton, sono sorelle.
Punto terzo: Janet Stockton, la vedova inconsolabile, si è
incontrata con Trevor Ruffin proprio il giorno prima
dell'attentato. Punto quarto: Trevor Ruffin era l'amante di Tina
Perry. Ergo: il mandante dell'omicidio non può essere altri che la
moglie Janet.
Ma quale poteva essere
il movente ? Ben si rese conto che il problema era davvero delicato.
Mettiamo pure che, come si diceva in giro, il giudice Stockton fosse
un donnaiolo. Perchè ammazzare proprio lui ? Se Janet Stockton ci
teneva tanto al marito, perché non far fuori la rivale ? Sarebbe
stato sicuramente più logico, anche se nelle faccende di cuore, la
logica non contava mai molto.
A meno che…. Ben si
mise a sfogliare gli articoli finchè non ritrovò quello che
cercava. Era la deposizione di un testimone oculare, un tale che
si trovava a passare sul marciapiede proprio mentre i coniugi
Stockton uscivano dal portone. Ben incominciò a leggere:
"Ho visto il
giudice tirare fuori una sigaretta e cercare di accenderla.
Però l'accendino gli è scappato di mano e lui si è chinato
per prenderlo. E' rimasto chinato per qualche attimo, come se non
riuscisse a prenderlo in mano e intanto guardava davanti a sè,
dall'altra parte della strada. Poi si è rialzato con lo
sguardo perplesso ed è stato colpito".
Che cosa diavolo stava
guardando, Stockton, si chiese Ben ? Probabilmente aveva visto il
killer che si preparava a sparare. O almeno era quello che avevano
pensato tutti. In effetti, come aveva poi ricostruito la polizia,
il killer era posteggiato in un auto proprio davanti alla First
National Bank, dall'altra parte della strada.
Però non lo
convinceva. A quell'ora di sera era buio, e Stockton non avrebbe
potuto vedere un accidente. Lincoln Street era una via piuttosto
larga e davanti alla banca l'illuminazione era quasi inesistente.
Lui lo sapeva bene perchè una volta ci aveva fatto un
appostamento. Inoltre, se il killer era in macchina, poteva
spuntare al massimo solo il fucile.
Quindi, riepilogando,
se la strada era larga, se là davanti era buio e se il killer
era nascosto in macchina, come diavolo faceva Stockton a vederlo ?
Ma non era tutto. Se davvero il giudice avesse visto un killer,
avrebbe dovuto avere una faccia spaventata. Tanto più che qualche
giorno prima aveva ricevuto una lettera minatoria e quindi
doveva essere sul "chi vive". Invece, secondo il
testimone, aveva un'espressione sorpresa. La cosa sembrava davvero
un po' troppo strana.
A meno che…., si
disse Ben eccitatissimo, Stockton non "sapesse" che
dall'altra parte della strada c'era un killer. Ed era stupito perchè
non sparava. Adesso quadrava. Accidenti se quadra. Era Janet il
bersaglio del killer... E il marito era il mandante. Stockton aveva
conosciuto Ruffin al processo e, pur avendolo assolto, sapeva che
mestiere faceva. Niente di più facile che avesse deciso di
ingaggiarlo per far fuori la moglie. Ma qualcosa era andato storto
e il killer aveva sbagliato mira.
No, neppure. C’era la
foto di Janet e Ruffin che cambiava la prospettiva. Ecco: Ruffin non
aveva sbagliato bersaglio. L'aveva cambiato. Era stato ingaggiato
da John per uccidere la moglie. Ma poi, in qualche modo, Janet era
intervenuta nella faccenda e lui aveva fatto il gioco contrario.
Diabolico.
E come poteva averlo
saputo ? Semplice: tramite le sorelle Marshall. Ruffin aveva
parlato dell'incarico alla sua amante, Tina. Tina ne aveva parlato
con la sorella Delly. E Delly, a sua volta aveva avvertito la sua
padrona. Che invece di denunciare il marito, aveva deciso di
approfittarne a suo vantaggio.
Accidenti, che storia,
pensò Ben. Ma c’era ancora un problema, un grosso problema da
risolvere: non aveva assolutamente prove. Aveva la famosa foto di
Janet con Ruffin, certo, ma non valeva praticamente nulla. Era solo
la foto di Janet in un bar, e basta. Che l’uomo fosse Trevor
Ruffin lo sapeva Ben, ma dalla foto non lo si riconosceva. E sua
testimonianza, era davvero troppo poco per mandare in galera una
persona importante come Janet Stockton.
* * * * *
L'orologio a muro
dell'ingresso segnava le 14 e 36 quando Elliot Perry, finito il suo
turno di lavoro, rientrò in casa. Il turno di mattina non era poi
così male, se non per il fatto che incominciava alle sei e
bisognava svegliarsi prestissimo per arrivare in orario. Sempre
meglio comunque del turno di notte. Quello era davvero
massacrante. Anche se erano anni che Perry faceva quella vita, non
era ancora riuscito ad adattarsi del tutto.
Era stanco, ma non solo
fisicamente. Si sentiva ancora più stanco del solito per via di
quello che era successo con Tina. L'aveva messa di fronte alle sue
responsabilità e lei non aveva neanche provato a protestare. Le
aveva detto che fra loro era tutto finito, e che doveva andarsene.
E lei se ne era andata senza fiatare. Sul momento si era sentito
anche meglio. Come chi riesce a levarsi un peso che lo
schiaccia. Ma poi le cose erano cambiate. Tina era sempre nei suoi
pensieri e non riusciva a dimenticarla. Ma adesso non poteva più
farci niente. L'aveva lasciata andare, anzi, meglio, l'aveva
spinta ad andarsene, e adesso non sapeva più nemmeno dov'era.
Si tolse il giaccone
impermeabile e lo appoggiò all'appendiabiti. Poi passò in bagno
e si tolse le scarpe. Ma forse era giusto così. Non poteva, non
doveva perdonarla. E il fatto di aver perso i contatti con lei
era la cosa migliore. Non avrebbe più potuto tornare indietro
e il tempo avrebbe finalmente richiuso quella ferita. In fondo
erano passati solo pochi giorni. Troppo pochi per ritrovare la
pace dentro di sè.
Passò di fianco al
giradischi e lo accese. Aveva voglia di sentire musica, per
cercare di distrarsi e non pensare troppo. Niente roba languida,
voleva roba forte, per rintronarsi la testa. Prese un disco di
Hard Rock e lo inserì nel lettore CD. Subito il fragore degli
strumenti invase la stanza, e lui si trovò a seguirne il
ritmo, senza pensare ad altro. Se non altro, funzionava.
Non aveva ancora
mangiato, ma non aveva molta fame. Comunque qualcosa doveva
buttare giù. Era stanchissimo e sapeva che, se voleva continuare
a restare in forma per il suo lavoro, doveva nutrirsi. E in modo
adeguato anche. Aprì il frigorifero, ne tolse due pacchetti e li
posò sul tavolo. Poi prese un altro pacchetto dal freezer,
tolse la carta che lo avvolgeva e lo infilò direttamente nel
forno a microonde.
In quel momento suonò
il campanello della porta. Elliot Perry andò ad aprire e si
trovò di fronte l'inquilina del piano di sotto. Una signora
messicana di mezza età con un sedere enorme.
- Senor Perry,
scusatemi, ma il mio bambino dorme.
- E allora ? - chiese
Perry senza capire bene cosa volesse la donna.
La vicina indicò con
la mano l'interno dell'appartamento, dal quale veniva la musica
rock a volume piuttosto alto.
- La musica, senor. Il
mio bambino è ancora piccolo e a quest'ora deve dormire.
- Ah, già - borbottò
Perry. Avrebbe dovuto pensarci, ma in quei giorni era già
tanto se si ricordava come si chiamava.
- Se poteste abbassarlo
un poco... - continuò la donna.
- Sì, certo. Lo spengo
subito.
La donna gli sorrise.
- Gracias, senor.
Non era una piantagrane
e aveva tutte le ragioni. Con quel rumore il bambino non poteva
riposare. Aveva solo un anno e mezzo e, a quell'ora, fatta la
"pappa" aveva proprio bisogno di dormire.
- Di nulla. - rispose
Perry.
La donna se ne andò
soddisfatta e Perry si affrettò a spegnere il lettore CD. Poi tornò
in cucina per togliere il pranzo dal forno e, come per incanto, il
pensiero di Tina si riaffacciò prepotente alla sua mente. La
cucina era il posto che più gli evocava i ricordi della loro
vita insieme. Forse perchè lei, nonostante tutto, era una brava
cuoca. O forse perchè c'erano ancora tanti oggetti che gli
parlavano di lei.
All'improvviso, senza
una ragione apparente, gli venne voglia di andare a vedere che
tipo era il gangster con il quale sua moglie se n'era andata. Da
quando quell'investigatore privato, Wallace, gli aveva dato la
relazione finale delle sue indagini, non l'aveva ancora guardata
una sola volta.
Lasciò perdere il
pranzo posato sul tavolo e si diresse verso la camera da letto.
Aprì l'ultimo cassetto del suo comodino e ne estrasse un
fascicoletto piegato in due. Si sedette sul bordo del letto, lo aprì
e incominciò a sfogliarlo. Quando arrivò alle foto e vide quella di
Trevor Ruffin restò di sasso.
Ma quello era il killer
del giudice Stockton ! Non aveva letto molto i giornali, ma aveva
visto la televisione e si ricordava perfettamente di aver visto
la sua immagine durante il notiziario. Accidenti, che roba. E poi,
subito dopo, un'altro pensiero si fece automaticamente strada
dentro di lui. Ma Trevor Ruffin, adesso, è morto. E Tina ? Che
ne è stato di lei ? Dov'è ora ? Con chi è ?
Il suono invadente del
campanello della porta ruppe il silenzio della stanza e bloccò
improvvisamente il corso dei suoi pensieri. Che accidenti voleva
ancora la signora di sotto ? Aveva spento il suo stereo, no
? Disturbato da quella interruzione, Elliot Perry si alzò,
decisamente contrariato, si diresse verso la porta e la aprì con
un gesto secco.
- Ciao, Elliot. Mi fai
entrare ?
Davanti a lui, con
una valigia in mano, gli occhi leggermente rigati dalle lacrime e
un sorriso mesto c'era Tina. Era bellissima. Elliot Perry fece un
passo verso di lei, scoppiò a piangere e l'abbracciò stretta.