Cap. 3 - Lunedì
Lunedì sera il tempo
incominciò a peggiorare rapidamente e si mise a fare piuttosto
freddo. La temperatura si era abbassata di colpo di parecchi gradi e
un forte vento spazzava impietoso le vie della città.
Alle dieci in punto,
un'auto sportiva di colore scuro si fermò di fianco al grande
cancello, sempre aperto, che delimitava l'uscita nord del parco
centrale di Bristow.
Vista la temperatura,
il giudice Stockton si limitò a mettere in folle il motore,
ma non lo spense per poter mantenere in funzione il
riscaldamento. Si guardò intorno nel buio, ma non c'era nessuno in
vista. Guardò l'orologio: era in orario perfetto, ma Ruffin
non si vedeva. Probabilmente è un tipo ritardatario, pensò.
Strano, perchè chi fa il killer di professione deve essere
abituato alla massima precisione. Anche Stockton era un tipo
preciso che amava la puntualità, ma quella sera non aveva fretta.
Mai mettersi nelle condizioni di avere fretta, quando si devono
concludere affari importanti: si rischia soltanto di combinare
dei disastri.
Si sistemò più
comodamente sul sedile, si accese con gesti calmi e tranquilli una
sigaretta e si preparò ad aspettare. Passò un vecchio ubriaco,
poi una coppia di fidanzati, che camminavano svelti, abbracciati
stretti stretti uno all'altra, come per ripararsi dal vento freddo
della sera. Dopo dieci minuti una figura alta, avvolta in un
pesante giaccone di pelle marrone, uscì da dietro un grosso albero e
si avvicinò all'auto. La faccia di Stockton era in ombra e
Ruffin non lo riconobbe subito.
- Non siamo molto
puntuali, eh ? - lo apostrofò il giudice, comunque disturbato da
quel ritardo.
- Certo che sono
puntuale. - replicò sprezzante il killer - Ma sono anche
prudente.
- Che vuoi dire ? -
chiese Stockton, leggermente irritato. Ruffin fece un gesto con la
mano, ad indicare il grande parco che si stendeva dietro di loro.
- E' da mezz'ora che
sono qui. Ma prima di farmi vedere ho voluto essere tranquillo,
che non ci fossero movimenti strani in giro.
- Ah.
- Senza prudenza non si
va lontano, nella vita. Meno che mai nel mio lavoro.
- OK. - convenne il
giudice rabbonito - Tutto tranquillo ?
- Direi di sì.
- Allora sali.
Ruffin fissò la figura
del giudice avvolta nella penombra. Poteva intravedere il colletto
della camicia, la cravatta e persino il mento dell'uomo, ma non il
resto del viso, per cui non riusciva proprio a riconoscerlo.
- La tua voce non mi è
nuova, amico. Ci conosciamo, forse ?
- Certo che ci
conosciamo. Ma adesso muoviamoci.
Ruffin fece il giro
dell'auto, salì sul sedile e richiuse rapidamente la portiera.
Stockton mise in moto e ripartì.
- Sono il giudice
Stockton, Ruffin, quello del tuo ultimo processo.
- Maledizione ! -
esclamò Ruffin, mentre un lampo di paura attraversava i suoi occhi.
Istintivamente, mise la
mano nella tasca del giaccone per prendere la pistola, ma la voce di
Stockton lo fermò.
- Lascia stare la
pistola, Trevor. Non è una trappola questa.
- No ? E chi me lo dice
? - replicò Ruffin guardingo con la mano ancora infilata nella
tasca.
- Te lo dico io.
Sarebbe ben puerile come trappola, non credi ? Ti ho appena
assolto. Come potrei incriminarti di nuovo ?
- E che ne so ? Non sono
un avvocato io.
- Ecco, appunto. Allora
stai tranquillo e ascolta quel che ho da dirti.
L'uomo si rilassò un
poco e tolse la mano dalla tasca. L'auto viaggiava a velocità
moderata verso la parte più periferica della città. Stockton
doveva fare un lungo discorso al suo passeggero e preferiva evitare
le strade strette e piene di traffico del centro. Molto meglio
i lunghi ed ampi viali della periferia, che non
richiedevano un'attenzione di guida particolare.
- Allora, perchè mi
vuoi parlare ? - chiese Ruffin dopo qualche minuto.
- Te l'ho già detto, no
?
- Un contratto ?
- Proprio così.
- Tu ? Un giudice ?
- Perchè no ? Sono un
uomo anch'io, non ti pare ?
- Ok, Ok. E chi sarebbe
il bersaglio ?
- Mia moglie.
Trevor Ruffin ebbe un
sorriso. La solita storia di tante altre volte. Sembrava che la
gente corresse a sposarsi tutta contenta, solo per poi scoprire,
dopo un po' di anni, di non poter assolutamente sopportare la
persona che si era scelta. Fino al punto, alle volte, di volerla
ammazzare. Molto meglio fare come lui. Quando trovava una ragazza
che gli piaceva, la pigliava e se la portava a letto. Poi,
quando era stufo, le diceva semplicemente di andarsene e se la
levava di torno dal mattino alla sera, senza tante
complicazioni. Ma la gente era così stupida...
- Sarà un lavoretto
pulito e senza rischi. - stava dicendo Stockton.
- Me l'hai già detto al
telefono, questo, ma non ci credo.
- Invece devi crederci,
Trevor, perchè ho già programmato tutto. E poi ci sarò io, a
sviare le indagini. In fondo sono un giudice importante, qui a
Bristow, e la mia parola vale pur qualcosa. Se darò le
indicazioni adatte, tu sarai l'ultima persona la mondo che
potranno sospettare.
Ruffin borbottò
qualcosa tra sè, ma non fece commenti.
- Non sei convinto ? -
insistette Stockton.
- Ok, diciamo che potrei
convincermi.
- Così va meglio.
- Dipende anche dal
prezzo.
- Certo, certo.
- Quanto sarebbe ?
- 20 mila dollari.
- Troppo pochi.
- Andiamo, Trevor... -
disse il giudice con tono bonario - Ti ho detto che è una cosa
sicura.
- Me l'hai detto, ma non
me l'hai ancora dimostrato.
Stockton sorrise. Si
aspettava di arrivare a questo punto, e questo voleva dire che
Ruffin avrebbe finito per accettare. Si voltò a guardare il suo
interlocutore.
- Allora facciamo così:
io ti spiego per bene come intendo organizzare la cosa e tu valuti
il rischio. Se davvero il rischio è minimo accetti i 20 mila
dollari.
- Altrimenti ?
- Altrimenti, - disse
Stockton stringendosi nelle spalle - tu rifiuti l'incarico e io mi
cerco qualcun'altro un po' meno schizzinoso.
Ruffin ci pensò su un
poco e dovette convenire che Stockton non aveva poi tutti i
torti. Certo lui era uno dei migliori, sulla piazza, ma non
era neppure l'unico che facesse certi lavoretti. Se davvero era
una cosa facile, il giudice poteva sempre cercarsi qualcun altro e
lui avrebbe perso l'incarico.
- D'accordo. - disse
Ruffin a denti stretti. - Sentiamo un po' questa storia.
Stockton imboccò un
lungo viale alberato e incominciò a raccontare con voce
tranquilla.
- Io abito in Lincoln
Street, proprio nel centro della città. Davanti al mio palazzo
c'è l'agenzia principale di Bristow del First National Bank.
Quindi di sera, dopo la chiusura degli uffici, in quel tratto di
strada non c'è praticamente nessuno e non è neppure illuminato
molto bene.
Ruffin ascoltava
attento, senza parlare.
- Tu arrivi in auto,
verso sera - continuò Stockton - e parcheggi lì davanti,
approfittando del buio. Quando io e mia moglie usciremo, tu
dovrai spararle. Hai un fucile di precisione ?
- Posso procurarmelo.
- Allora usa quello.
La strada è piuttosto larga e l'arma deve essere potente e precisa.
- Non c'è' problema.
- Poi fuggirai in auto.
Io dirò di aver visto l'auto fuggire, ma di non aver potuto
prendere il numero della targa. Segnalerò alla polizia solo il tipo
di auto e il colore, e, per maggior sicurezza, indicherò dei
dati completamente diversi da quelli veri. Così nessuno potrà
risalire fino a te.
- Mmm, non mi convince
del tutto.
- Perchè ?
- Tua moglie lavora ?
- No. Sta in casa.
- Ha una vita sociale
particolarmente intesa ?
- Beh, no. Perchè ?
- Perchè non credo che
chi fa una vita simile possa avere dei nemici.
- E allora ?
- E allora chi vuole
che possa volere la sua morte ? La polizia non lo penserà nemmeno
per un momento e sospetterà subito di te, che sei il marito.
Metteranno in dubbio la tua testimonianza, dopodichè anche io
potrò trovarmi nei guai.
Il giudice Stockton si
concesse un sorriso.
- Infatti, ci avevo già
pensato anch’io, Ruffin. Ma la soluzione c’è ed è piuttosto
semplice.
- Sentiamo.
- Faremo in modo che
mia moglie non sembri il vero obbiettivo dell'attentatore, ma
solo una vittima casuale.
- E chi sarebbe il vero
bersaglio ?
- Io.
- Mmm. Mica male come
idea. - ammise Ruffin.
- Non è una cosa
frequente, ma è già successa. Il killer si organizza per uccidere
Tizio e invece ci va di mezzo Caio. Una bella sfortuna, ma la
vita è piena di episodi sfortunati. Mia moglie sarà solo una
povera donna, dalla vita irreprensibile, che ha avuto la sfortuna di
trovarsi al fianco di suo marito in un momento drammatico.
Nient'altro.
- Mmm... - fece
Ruffin, dubbioso. Era abituato a ponderare molto, prima di
accettare un'idea, e analizzava sempre le varie ipotesi con grande
attenzione - Siamo sicuri che la polizia crederà a questa storia ?
- Perchè no ?
- Tu sei più
credibile, come bersaglio, siamo d'accordo. Ma non si uccide un
giudice senza un motivo. E la polizia dovrà cercare un
movente.
- Niente paura, Trevor.
Ho pensato anche a questo. Non farò altro che prepararli
psicologicamente.
- Cioè ?
- Nei prossimi giorni
mi invierò una lettera anonima di minaccia e poi andrò a
denunciarla alla polizia. Loro non avranno motivo di non
crederci e... "voilà", il gioco è fatto.
Ruffin restò di nuovo
in silenzio, soppesando i vari aspetti di quella storia. Sì,
tutto sommato il rischio era davvero ridotto. Non c'erano motivi
ragionevoli per cui dovesse andare storto. E, d'altra parte, nel
suo mestiere una parte di rischio era ineliminabile. Non si
poteva sempre dubitare di tutto, altrimenti si finiva per non
fare più niente.
- Ok, giudice, mi hai
convinto.
- Oh, molto bene.
- Adesso scendiamo nei
dettagli. Che giorno e che ora ?
- Non lo so ancora.
Sicuramente ho bisogno ancora di un po’ di tempo, perchè devo
preparare la lettera minatoria, mandarmela e fare un po’ di scena
con la polizia. Comunque sarà di sera, perchè abbiamo bisogno
che faccia buio. Diciamo una sera di questa o della prossima
settimana. Alla prima occasione in cui ci capiterà di uscire
per andare a cena da qualche parte.
- Per me un giorno vale
l'altro. Ma devo programmarmi per tempo.
- Sì, certo. Lo so. Te
lo farò sapere per telefono appena possibile.
- Ok, proseguiamo. -
continuò Ruffin con voce decisa – Qual è il numero del portone di
casa Tua ?
- L'89.
- Quale sarà il segnale
per muovermi ?
- L'accendino.
Ruffin ascoltava
attentamente, senza prendere appunti. Aveva l'abitudine di non
scrivere mai niente di quello che gli serviva per il suo lavoro,
perchè non voleva correre il rischio di lasciare delle tracce
pericolose in giro. Un suo collega era finito all'ergastolo per un
semplice biglietto finito in mani sbagliate, e lui non aveva
nessuna intenzione di imitarlo. Molto meglio limitarsi a
memorizzare tutto. Tanto più che lui aveva un'ottima memoria, bel
allenata, e non aveva mai dimenticato niente.
- Io scenderò dalle
scale per primo, - stava dicendo Stockton - tanto mia moglie è
sempre l'ultima a essere pronta. Uscirò dal portone e quando
sentirò che sta per raggiungermi, tirerò fuori l'accendino come
per accendermi una sigaretta. L'accendino però mi scapperà di mano
e io mi chinerò per raccoglierlo. In quel momento mia moglie sarà
proprio dietro di me e tu sparerai. Poi scapperai a tutta velocità.
Che auto userai ?
- Non lo so. Ne ruberò
una per maggior sicurezza.
- Meglio. - disse
Stockton - Comunque farò in modo di dare indicazioni false
ugualmente. "Melius est abundare quam deficere".
- Che cos'è ? - chiese
Ruffin sospettoso.
- Latino. - disse
Stockton con un sorriso - Un vecchio vezzo di noi giudici. Vuol
dire che in certi casi è meglio abbondare con le cautele, che
non risparmiarsi.
Ruffin sbuffò,
leggermente a disagio, conscio che l'altro aveva tirato fuori la
sua cultura solo per fargli pesare la propria superiorità.
Ma poi lasciò perdere e tornò rapidamente al problema che lo
interessava.
- E per i soldi ?
- Abbiamo detto
ventimila, no ?
- Sì, certo. Ma
pagati come ?
- Metà come anticipo.
Il resto a lavoro finito.
- A quando l'anticipo ?
- Anche subito, se vuoi.
- disse Stockton con un sorriso. Mise una mano in tasca, ne estrasse
un grosso fascio di banconote e lo porse a Ruffin.
- Ecco qua, Trevor.
Senza parlare, il
killer prese il mazzo di banconote e le infilò nel giaccone senza
contarle.
- Per il saldo ci
vedremo tre giorni dopo l'attentato – continuò Stockton - Ci
ritroveremo allo stesso posto e alla stessa ora di stasera.
- Per me va bene. -
concluse il killer.
Era davvero un
lavoretto pulito e Ruffin poteva esserne soddisfatto. Senza
contare che, in quel momento, i ventimila dollari gli facevano
maledettamente comodo. Stockton guardò l'orologio sul cruscotto.
Si era fatto piuttosto tardi e aveva appuntamento con Jessica,
quella sera.
- Direi che siamo a
posto. Dove ti lascio ?
Ruffin guardò fuori
dal finestrino e vide che erano vicini a una stazione della
metropolitana.
- Lasciami pure qui.
- Ok. Allora Ti telefono
appena posso.
- D'accordo.
L'auto si fermò
accostando al marciapiede. Trevor Ruffin fece un breve cenno di
saluto e scese dalla vettura, allontanandosi rapidamente in direzione
della metropolitana. Il giudice Stockton restò per qualche
secondo a guardare il suo uomo che si dileguava nel buio
della notte, poi ripartì con una rapida
accelerazione. Jessica lo aspettava, e lui non vedeva l'ora di
trovarsi tra le sue braccia.