sabato 12 aprile 2014

L'attentato fallito - 5

Cap. 5 - Giovedì


Le indagini di Ben Wallace su Tina Perry si conclusero con l'ultimo pedinamento del mercoledì pomeriggio ed il giovedì mattina, di buon ora, Ben, si mise al lavoro, insieme a Pico, per la stesura definitiva della sua relazione. l materiale raccolto non lasciava alcun dubbio su come stavano le cose: Tina Perry aveva effettivamente un amante.
A suo modo l’uomo era un bel tipo, anzi un bel tipaccio. Alto, atletico, un viso abbastanza bello con un'espressione da duro, deciso. Peccato che facesse un mestiere davvero poco raccomandabile. Era nella malavita organizzata, e pareva che fosse un tipo importante, molto rispettato nell'ambiente. Lo chiamavano addirittura "Iceman", l'uomo di ghiaccio, per la sua freddezza. Il nome esatto non lo sapeva, ma non aveva molta importanza. Era uno di quei tipi che facevano avanti e indietro dalla prigione, ma adesso era fuori e ne approfittava per spassarsela con la moglie di Elliot Perry.
Ben aveva preso parecchie foto con la fotocamera digitale, alcune piuttosto ben riuscite, altre molto meno, come spesso succedeva, e le aveva inserite nella sua relazione in modo da completarla in modo più che soddisfacente. Sempre che soddisfacente si potesse considerare il risultato finale del suo lavoro. Il povero Elliot Perry non sarebbe stato molto contento di sapere che la moglie lo tradiva, con un mezzo gangster per di più, e il fatto che Ben avesse lavorato bene per scoprirlo non lo avrebbe reso certamente più felice. Sarebbe stato uno di quei casi della vita, apparentemente paradossali, in cui una persona preferirebbe aver speso i suoi soldi per nulla. Ma in effetti il mestiere di Ben finiva molto spesso per essere paradossale.
Ben terminò il lavoro in meno di un'ora. Ne uscì un fascicoletto di una decina di pagine che ripose nel cassetto della scrivania e che avrebbe poi consegnato al cliente. Poi prese il telefono e chiamò Elliot Perry per fissare un appuntamento, riuscendo, con molto tatto, e non comunicargli l’esito delle sue ricerche. Decisero di incontrarsi il sabato mattina alle 9,30.
Quindi, posata la cornetta, Ben prese il giornale e si concesse un po’ di relax. Tra una notizia e l’altra, la sua attenzione fu attirata dall’articolo che parlava della lettera minatoria ricevuta dal giudice Stockton. Ben lo conosceva piuttosto bene, anche se solo di vista, e non aveva una grande stima di lui. Lo considerava un tipo piuttosto duro, molto ambizioso e capace quasi di tutto per raggiungere i suoi scopi. Si diceva che avesse anche velleità politiche.
Secondo gli inquirenti si trattava di uno dei tanti delinquenti che lui aveva fatto condannare in passato e che minacciava di vendicarsi. L’articolista aggiungeva che la polizia aveva offerto al giudice una bella scorta, per proteggerlo, ma che lui aveva sdegnosamente rifiutato. Probabilmente, pensò Ben, voleva soltanto fare un po' di scena. La prossima primavera ci sarebbero state le elezioni per il sindaco e se Stockton aveva una mezza idea di candidarsi, non gli sarebbe certo piaciuto fare la figura dell'ometto impaurito. E senza rischiare troppo, visto che quelli che scrivono le lettere minatorie sono molto spesso solo dei mitomani innocui. Per un giudice di lungo corso come Stockton non era stata sicuramente la prima volta, eppure era ancora lì, vivo e vegeto. Comunque non erano affari suoi. Ben chiuse il giornale e tornò alla scrivania per riprendere il lavoro.

* * * * *

Verso le cinque del pomeriggio, il telefono personale di John Stockton squillò nel suo ufficio del Tribunale. Era Geena Howard, la segretaria.
- Vostra moglie è in linea, giudice. - disse la ragazza. Stockton non aveva dato istruzioni particolari, quel pomeriggio, per cui poteva passargli la telefonata senza problemi.
- Ok, Geena. Passa pure.
Si sentì un "clic" e la linea fu passata.
- John, sono Janet.
- Dimmi, cara. - disse lui con voce insolitamente cortese. Ormai stava per liberarsi di quella rompiscatole una volta per tutte e non gli costava niente essere gentile con lei. Anzi, per certi versi, era persino divertente.
- Sei libero sabato sera ?
- Penso di sì. Perchè me lo chiedi ?
- Siamo stati invitati a cena dai Wells.
Betty Wells, moglie di uno dei più noti avvocati di Bristow, era una cara amica di Janet. A John Stockton, Betty non piaceva molto, ma si trattava di obblighi sociali che non poteva evitare. O almeno non tutte le volte che avrebbe voluto.
Il sabato, per John, era da sempre una giornata persa, perchè quasi tutti gli impegni mondani venivano fissati proprio quel giorno, di pomeriggio o di sera. E lui ormai ci si era adattato, fissando i suoi incontri intimi con Jessica in una delle altre sere della settimana. Quella volta, però, era ancora diverso. John attendeva con ansia un invito a cena, perchè era proprio quello di cui aveva bisogno per la conclusione del suo piano. Per cui non ebbe nessuna difficoltà a rispondere a sua moglie con un tono quasi entusiasta.
- Ma certo, cara. Vengo volentieri a cena da Betty.
Janet, che si aspettava resistenze e rimostranze varie, quasi non credeva alle proprie orecchie.
- Davvero vieni volentieri ?
- Ma certo, cara. Non ho nessun impegno per sabato sera.
- Sì, ma non è che Betty ti sia mai stata troppo simpatica...
- Non è poi così male, a pensarci bene. E' solo un po' stravagante.
- Veramente il mese scorso l'hai chiamata "vecchia strega".
- Ma sì, - disse Stockton conciliante - sono cose che si dicono. Basta farci l'abitudine.
- Se lo dici tu. - disse Janet quasi incredula. Sembrava quasi che suo marito fosse tornato a comportarsi con la gentilezza dei primi anni di matrimonio. E tutto questo, a Janet, non poteva che fare enormemente piacere. Se durava...
- Per che ora sarebbe ? - chiese il giudice.
- Per le nove.
- Benissimo. Così potrò ancora vedere il notiziario della sera sulla TBS. - concluse John - Ci basterà uscire di casa per le otto e mezzo e arriveremo in tempo.
- Ma c'è sempre tanto traffico al sabato sera, John. - replicò Janet.
Brutta stupida, pensò Stockton con irritazione. Come se non fosse sempre per colpa di sua moglie, se tante volte arrivavano in ritardo agli appuntamenti. Ma ormai aveva finito di rovinargli la vita.
- Non ti preoccupare, cara. In meno di mezz'ora possiamo essere alla villa dei Wells. Basta partire in orario.
- D'accordo.
- Ah - disse lui con "nonchalanche" - a proposito... Stasera torno a casa un po' più tardi perchè ho del lavoro da finire.
Stockton era eccitato come non mai. Adesso, che tutto si stava mettendo per il meglio, sentiva il bisogno irrefrenabile di andare dalla sua Jessica.
- Va bene. - rispose Janet comprensiva.
- Pensi di cenare a casa ?
- Vedrò quando mi libero. Se posso ti telefono.
- Dirò a Delly di tenerti in caldo qualcosa.
- Ecco sì. A stasera.
- A stasera, caro.
Stockton posò il telefono e si fregò le mani soddisfatto. Poi rialzò subito la cornetta per chiamare Jessica. La sua voce calda lo fece eccitare ancora di più. Conosceva bene quella voce, ma ogni volta gli dava sensazioni incredibili, come se fosse la prima volta.
- John, tesoro, finalmente mi chiami.
- Ho avuto un mucchio da fare.
- Quando vieni da me ?
- Stasera. Tra poco.
- Vieni presto, amore mio, Ti prego. Non sai quanto mi manchi. - disse lei con voce insinuante.
- Lo so, lo so. Ti manco quanto tu manchi a me.
Jessica soffocò un risolino.
- No. Di più.
- Mezz'ora e sono lì, Jessica. Il tempo di finire un paio di cose.
- Ti aspetto.
Stockton le mandò un lungo bacio per telefono, che Jessica ricambiò con ostentata sensualità, e chiuse la comunicazione.
Adesso restava ancora una cosa da fare. Si frugò nelle tasche, ne prese un foglietto scarabocchiato e fece un altro numero di telefono. Doveva avvertire Trevor Ruffin che l'attentato sarebbe stato per sabato sera alle otto e mezzo. Ruffin si era molto raccomandato di essere avvertito con il massimo anticipo e Stockton era ben felice di accontentarlo. Fino a quel momento era andato tutto a meraviglia: non voleva certo correre il rischio che qualcosa andasse storto per una stupida negligenza. Il killer rispose al quinto squillo.

* * * * *

Trevor Ruffin posò il telefono sul comodino e si rigirò nel letto verso Tina Marshall. La ragazza, bellissima, era distesa al suo fianco, nuda, appena coperta da un brandello di lenzuolo.
- Allora, amore mio, dove eravamo rimasti ? - disse baciandola sul collo.
- Chi era al telefono ? - chiese Tina incuriosita.
- Lascia perdere. - rispose lui brusco.
Ruffin non amava parlare del suo lavoro con le donne che frequentava. Ovviamente, dopo qualche tempo, loro capivano perfettamente che tipo di mestiere lui facesse. Ma di fronte alla sua reticenza avevano abbastanza buon senso da non insistere.
Con Tina Perry, però, era un po' diverso. Anzitutto lei era un tipo speciale. Curiosa di tutto, anche di quello che riguardava il suo amante. E poi era così bella e passionale che Ruffin ne era attratto in maniera particolare. Tanto che gli riusciva difficile mantenere il silenzio quando lei gli chiedeva qualcosa. Un punto debole, questo, per un killer, certo. Ma in fondo tutti, a questo mondo, hanno i loro punti deboli. Tina, che conosceva il suo uomo, non si arrese.
- Ti prego, amore mio, dimmelo. - miagolò accarezzandogli il petto. Trevor Ruffin ebbe un brivido di piacere.
- Sai che non mi piace parlare di queste cose... - disse cercando di mantenere un tono distaccato.
- Ma io sono curiosa.
- Ah, lo so bene.
- E allora... accontentami.
Ruffin scrollò il capo sorridendo. Ma sì, che poteva dirglielo. Tanto che problema c'era ? Da Tina non poteva sicuramente venirgli nessun pericolo. Lei non lo avrebbe riferito a nessuno, perchè era sposata e non poteva certo far sapere in giro che era l'amante di un altro uomo. E di un killer per di più.
- Allora ? - insistette la ragazza accarezzandolo di nuovo.
- Non lo indovineresti mai.
- Ho sentito che lo chiamavi giudice. E' un soprannome, vero?
- No, no. - disse lui ridacchiando - E' proprio un giudice.
- Ma dai...
- Ti giuro. E pensa che si è rivolto a me proprio per un contratto.
Tina sgranò gli occhi sorpresa.
- Un giudice che vuole che tu gli uccida qualcuno ?
- Proprio così.
- E chi deve far fuori ? Un ricattatore ?
- Niente di così complicato, semplicemente sua moglie.
- Povera donna.
- Oh, per me. Basta che mi paghi.
- E come si chiama ? - chiese Tina con aria annoiata.
- La moglie ? Janet, mi sembra.
- No, dico, come si chiama lui.
- Ah, è il giudice Stockton.
Tina alzò la testa e lo guardò incuriosita.
- Ma davvero ?



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