Cap. 5 - Giovedì
Le indagini di Ben
Wallace su Tina Perry si conclusero con l'ultimo pedinamento
del mercoledì pomeriggio ed il giovedì mattina, di buon ora, Ben,
si mise al lavoro, insieme a Pico, per la stesura definitiva della
sua relazione. l materiale raccolto non lasciava alcun dubbio su come
stavano le cose: Tina Perry aveva effettivamente un amante.
A suo modo l’uomo era
un bel tipo, anzi un bel tipaccio. Alto, atletico, un viso
abbastanza bello con un'espressione da duro, deciso. Peccato che
facesse un mestiere davvero poco raccomandabile. Era nella malavita
organizzata, e pareva che fosse un tipo importante, molto
rispettato nell'ambiente. Lo chiamavano addirittura "Iceman",
l'uomo di ghiaccio, per la sua freddezza. Il nome esatto non lo
sapeva, ma non aveva molta importanza. Era uno di quei tipi che
facevano avanti e indietro dalla prigione, ma adesso era fuori e
ne approfittava per spassarsela con la moglie di Elliot Perry.
Ben aveva preso
parecchie foto con la fotocamera digitale, alcune piuttosto ben
riuscite, altre molto meno, come spesso succedeva, e le aveva
inserite nella sua relazione in modo da completarla in modo più
che soddisfacente. Sempre che soddisfacente si potesse considerare
il risultato finale del suo lavoro. Il povero Elliot Perry non
sarebbe stato molto contento di sapere che la moglie lo tradiva,
con un mezzo gangster per di più, e il fatto che Ben avesse
lavorato bene per scoprirlo non lo avrebbe reso certamente più
felice. Sarebbe stato uno di quei casi della vita,
apparentemente paradossali, in cui una persona preferirebbe aver
speso i suoi soldi per nulla. Ma in effetti il mestiere di Ben
finiva molto spesso per essere paradossale.
Ben terminò il lavoro
in meno di un'ora. Ne uscì un fascicoletto di una decina di pagine
che ripose nel cassetto della scrivania e che avrebbe poi consegnato
al cliente. Poi prese il telefono e chiamò Elliot Perry per fissare
un appuntamento, riuscendo, con molto tatto, e non comunicargli
l’esito delle sue ricerche. Decisero di incontrarsi il sabato
mattina alle 9,30.
Quindi, posata la
cornetta, Ben prese il giornale e si concesse un po’ di relax. Tra
una notizia e l’altra, la sua attenzione fu attirata dall’articolo
che parlava della lettera minatoria ricevuta dal giudice Stockton.
Ben lo conosceva piuttosto bene, anche se solo di vista, e non aveva
una grande stima di lui. Lo considerava un tipo piuttosto duro,
molto ambizioso e capace quasi di tutto per raggiungere i suoi scopi.
Si diceva che avesse anche velleità politiche.
Secondo gli inquirenti
si trattava di uno dei tanti delinquenti che lui aveva fatto
condannare in passato e che minacciava di vendicarsi. L’articolista
aggiungeva che la polizia aveva offerto al giudice una bella scorta,
per proteggerlo, ma che lui aveva sdegnosamente rifiutato.
Probabilmente, pensò Ben, voleva soltanto fare un po' di scena. La
prossima primavera ci sarebbero state le elezioni per il sindaco e
se Stockton aveva una mezza idea di candidarsi, non gli sarebbe
certo piaciuto fare la figura dell'ometto impaurito. E senza
rischiare troppo, visto che quelli che scrivono le lettere minatorie
sono molto spesso solo dei mitomani innocui. Per un giudice di
lungo corso come Stockton non era stata sicuramente la prima
volta, eppure era ancora lì, vivo e vegeto. Comunque non erano
affari suoi. Ben chiuse il giornale e tornò alla scrivania per
riprendere il lavoro.
* * * * *
Verso le cinque del
pomeriggio, il telefono personale di John Stockton squillò nel
suo ufficio del Tribunale. Era Geena Howard, la segretaria.
- Vostra moglie è in
linea, giudice. - disse la ragazza. Stockton non aveva dato
istruzioni particolari, quel pomeriggio, per cui poteva passargli la
telefonata senza problemi.
- Ok, Geena. Passa pure.
Si sentì un "clic"
e la linea fu passata.
- John, sono Janet.
- Dimmi, cara. - disse
lui con voce insolitamente cortese. Ormai stava per liberarsi di
quella rompiscatole una volta per tutte e non gli costava niente
essere gentile con lei. Anzi, per certi versi, era persino
divertente.
- Sei libero sabato sera
?
- Penso di sì. Perchè
me lo chiedi ?
- Siamo stati invitati a
cena dai Wells.
Betty Wells, moglie di
uno dei più noti avvocati di Bristow, era una cara amica di Janet.
A John Stockton, Betty non piaceva molto, ma si trattava di
obblighi sociali che non poteva evitare. O almeno non tutte le
volte che avrebbe voluto.
Il sabato, per John,
era da sempre una giornata persa, perchè quasi tutti gli
impegni mondani venivano fissati proprio quel giorno, di pomeriggio
o di sera. E lui ormai ci si era adattato, fissando i suoi
incontri intimi con Jessica in una delle altre sere della
settimana. Quella volta, però, era ancora diverso. John attendeva
con ansia un invito a cena, perchè era proprio quello di cui
aveva bisogno per la conclusione del suo piano. Per cui non ebbe
nessuna difficoltà a rispondere a sua moglie con un tono quasi
entusiasta.
- Ma certo, cara. Vengo
volentieri a cena da Betty.
Janet, che si
aspettava resistenze e rimostranze varie, quasi non credeva alle
proprie orecchie.
- Davvero vieni
volentieri ?
- Ma certo, cara. Non
ho nessun impegno per sabato sera.
- Sì, ma non è che
Betty ti sia mai stata troppo simpatica...
- Non è poi così male,
a pensarci bene. E' solo un po' stravagante.
- Veramente il mese
scorso l'hai chiamata "vecchia strega".
- Ma sì, - disse
Stockton conciliante - sono cose che si dicono. Basta farci
l'abitudine.
- Se lo dici tu. -
disse Janet quasi incredula. Sembrava quasi che suo marito fosse
tornato a comportarsi con la gentilezza dei primi anni di
matrimonio. E tutto questo, a Janet, non poteva che fare
enormemente piacere. Se durava...
- Per che ora sarebbe ?
- chiese il giudice.
- Per le nove.
- Benissimo. Così
potrò ancora vedere il notiziario della sera sulla TBS. -
concluse John - Ci basterà uscire di casa per le otto e mezzo e
arriveremo in tempo.
- Ma c'è sempre tanto
traffico al sabato sera, John. - replicò Janet.
Brutta stupida, pensò
Stockton con irritazione. Come se non fosse sempre per colpa di
sua moglie, se tante volte arrivavano in ritardo agli
appuntamenti. Ma ormai aveva finito di rovinargli la vita.
- Non ti preoccupare,
cara. In meno di mezz'ora possiamo essere alla villa dei Wells.
Basta partire in orario.
- D'accordo.
- Ah - disse lui con
"nonchalanche" - a proposito... Stasera torno a casa un
po' più tardi perchè ho del lavoro da finire.
Stockton era eccitato
come non mai. Adesso, che tutto si stava mettendo per il meglio,
sentiva il bisogno irrefrenabile di andare dalla sua Jessica.
- Va bene. - rispose
Janet comprensiva.
- Pensi di cenare a casa
?
- Vedrò quando mi
libero. Se posso ti telefono.
- Dirò a Delly di
tenerti in caldo qualcosa.
- Ecco sì. A stasera.
- A stasera, caro.
Stockton posò il
telefono e si fregò le mani soddisfatto. Poi rialzò subito la
cornetta per chiamare Jessica. La sua voce calda lo fece eccitare
ancora di più. Conosceva bene quella voce, ma ogni volta gli
dava sensazioni incredibili, come se fosse la prima volta.
- John, tesoro,
finalmente mi chiami.
- Ho avuto un mucchio da
fare.
- Quando vieni da me ?
- Stasera. Tra poco.
- Vieni presto, amore
mio, Ti prego. Non sai quanto mi manchi. - disse lei con voce
insinuante.
- Lo so, lo so. Ti
manco quanto tu manchi a me.
Jessica soffocò un
risolino.
- No. Di più.
- Mezz'ora e sono lì,
Jessica. Il tempo di finire un paio di cose.
- Ti aspetto.
Stockton le mandò
un lungo bacio per telefono, che Jessica ricambiò con
ostentata sensualità, e chiuse la comunicazione.
Adesso restava ancora
una cosa da fare. Si frugò nelle tasche, ne prese un foglietto
scarabocchiato e fece un altro numero di telefono. Doveva
avvertire Trevor Ruffin che l'attentato sarebbe stato per sabato
sera alle otto e mezzo. Ruffin si era molto raccomandato di essere
avvertito con il massimo anticipo e Stockton era ben felice di
accontentarlo. Fino a quel momento era andato tutto a
meraviglia: non voleva certo correre il rischio che qualcosa
andasse storto per una stupida negligenza. Il killer rispose al
quinto squillo.
* * * * *
Trevor Ruffin posò il
telefono sul comodino e si rigirò nel letto verso Tina Marshall. La
ragazza, bellissima, era distesa al suo fianco, nuda, appena
coperta da un brandello di lenzuolo.
- Allora, amore mio,
dove eravamo rimasti ? - disse baciandola sul collo.
- Chi era al telefono ?
- chiese Tina incuriosita.
- Lascia perdere. -
rispose lui brusco.
Ruffin non amava
parlare del suo lavoro con le donne che frequentava.
Ovviamente, dopo qualche tempo, loro capivano
perfettamente che tipo di mestiere lui facesse. Ma di fronte alla
sua reticenza avevano abbastanza buon senso da non insistere.
Con Tina Perry, però,
era un po' diverso. Anzitutto lei era un tipo speciale. Curiosa
di tutto, anche di quello che riguardava il suo amante. E poi era
così bella e passionale che Ruffin ne era attratto in maniera
particolare. Tanto che gli riusciva difficile mantenere il
silenzio quando lei gli chiedeva qualcosa. Un punto debole,
questo, per un killer, certo. Ma in fondo tutti, a questo mondo,
hanno i loro punti deboli. Tina, che conosceva il suo uomo, non si
arrese.
- Ti prego, amore mio,
dimmelo. - miagolò accarezzandogli il petto. Trevor Ruffin ebbe un
brivido di piacere.
- Sai che non mi piace
parlare di queste cose... - disse cercando di mantenere un tono
distaccato.
- Ma io sono curiosa.
- Ah, lo so bene.
- E allora...
accontentami.
Ruffin scrollò il
capo sorridendo. Ma sì, che poteva dirglielo. Tanto che problema
c'era ? Da Tina non poteva sicuramente venirgli nessun pericolo.
Lei non lo avrebbe riferito a nessuno, perchè era sposata e non
poteva certo far sapere in giro che era l'amante di un altro uomo. E
di un killer per di più.
- Allora ? - insistette
la ragazza accarezzandolo di nuovo.
- Non lo indovineresti
mai.
- Ho sentito che lo
chiamavi giudice. E' un soprannome, vero?
- No, no. - disse lui
ridacchiando - E' proprio un giudice.
- Ma dai...
- Ti giuro. E pensa
che si è rivolto a me proprio per un contratto.
Tina sgranò gli occhi
sorpresa.
- Un giudice che vuole
che tu gli uccida qualcuno ?
- Proprio così.
- E chi deve far fuori ?
Un ricattatore ?
- Niente di così
complicato, semplicemente sua moglie.
- Povera donna.
- Oh, per me. Basta
che mi paghi.
- E come si chiama ? -
chiese Tina con aria annoiata.
- La moglie ? Janet,
mi sembra.
- No, dico, come si
chiama lui.
- Ah, è il giudice
Stockton.
Tina alzò la testa e
lo guardò incuriosita.
- Ma davvero ?
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