Il futuro è sopravvalutato. E’ un concetto che contiene tutto: prospettive, speranze, desideri di cambiamento, annunci roboanti, promesse.
Persino lo slogan appeso a balconi e finestre (un anno fa: oggi suona grottesco) era al futuro: “andrà tutto bene” (sic).
Andrà quando? Dopo, un domani, o un dopodomani, o chissà. Andrà, vedremo.
Così emerge un piccolo sospetto, di quelli che rodono e stanno lì in agguato come un retropensiero: che il futuro, il coniugare ogni verbo di speranza al futuro, sia solo un tentativo per spostare l’attenzione al domani, una speranzosa distrazione alla desolazione dell’oggi.
Alessandro Robecchi
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