CAP. 5 - Venerdì
Per il
secondo giorno di pedinamento, Ben decise di lasciar perdere il
bar della sera prima. Ci sarebbe tornato ancora, nei giorni
successivi, ma preferiva non andarci per due giorni di fila, per
non farsi notare troppo. Non si poteva mai sapere. Posteggiò
l'auto all'angolo della strada e vi rimase sopra, fingendo di
leggere un giornale, ma senza mai perdere di vista il portone
della Eastern National Bank. Poco dopo le cinque e mezzo incominciò
la solita uscita in massa degli impiegati. Ben cercava di non
perdersi una faccia, perchè Bullard poteva anche decidere di
uscire prima del solito.
Alle sei
meno venti le uscite incominciarono a diradarsi. Una, due persone
al massimo, alla spicciolata. Qualche ritardatario che si era
fermato per terminare un lavoro urgente, o semplicemente a finire di
chiacchierare con i colleghi. Ben stava già preparandosi mentalmente
ad un'altra mezz'oretta di attesa, quando vide spuntare la figura
caratteristica di Matt Bullard che usciva impettito come suo
solito, salutando con un cenno le guardie giurate. Con calma,
per non farsi troppo notare, Ben scese dalla vettura e si inserì
tra la folla sul marciapiede per seguire Bullard.
Il suo
uomo era uscito prima del solito e Ben sentiva che quello poteva
essere il giorno buono. Oltretutto aveva l'impressione che l'uomo
camminasse con passo più spedito del giorno prima, come se fosse
impaziente di arrivare a destinazione. Arrivato al secondo isolato,
Bullard anzichè proseguire diritto, come doveva fare per recarsi a
casa, svoltò a sinistra e si diresse verso il centro della città.
Certo non voleva dire niente. Magari doveva solo andare a fare
compere. Ma Ben sentiva uno strano formicolio sulla schiena,
segno che stava per succedere qualcosa.
L'uomo
continuò a camminare per la strada principale, poi svoltò ancora,
a destra questa volta, verso il dedalo di viuzze che
caratterizzavano la zona vecchia della città. Il traffico delle auto
non era intenso, ma quello dei pedoni sì, per cui Bullard non
poteva andare troppo veloce. Perciò Ben non aveva difficoltà
a tenere il contatto visivo, senza correre il rischio di avvicinarsi
troppo. Arrivato a metà di Golden Street, Bullard attraversò
rapidamente la strada e si infilò sotto i vecchi portici dalla parte
opposta. Ben si accorse in tempo della manovra e riuscì a non
perderlo.
L'uomo
percorse ancora poche decine di metri, poi rallentò il passo,
quasi di colpo, si guardò un attimo intorno con un certo
imbarazzo, e infine entrò in un grosso portone illuminato alla
sua sinistra. Ben, che era sul marciapiede dietro di lui e
camminava molto accostato al muro, non poteva vedere bene il posto
dove Bullard stava entrando. Però dalla luminosità che
usciva dall'ingresso e dall'insegna a colori vivaci che la
sovrastava, capì subito che doveva trattarsi di un locale pubblico,
un cinema probabilmente. Ben accellerò il passo e in pochi secondi
fu davanti al locale. Si trattava proprio di un cinema. Un cinema
a luci rosse, per essere precisi.
Ma
guarda, si disse Ben. Alzò lo sguardo sull'insegna luminosa e lesse
il nome del locale: "BLUE DEVIL", si chiamava. Tirò
fuori dalla tasca la micro-macchina fotografica a forma di accendino
e scattò alcune foto: una al locale, una all'insegna e un paio ai
manifesti del film in programma quel giorno. Ben si fermò un
attimo a guardare i manifesti, come se fosse un potenziale
spettatore che stava decidendo se entrare o no. Si rese subito
conto che proiettavano roba forte, lì. Roba per guardoni di
prima categoria.
Si chiese
cosa fare a quel punto, ma la risposta era una sola: doveva
entrare. Certo, il cinema da solo poteva ampiamente spiegare il
comportamento elusivo di Bullard, ma non poteva fidarsi. E se il
cinema fosse stata solo una copertura ? Se Matt se ne fosse
approfittato per incontrarsi con una donna ? O magari, visto che per
una donna ci voleva un bel coraggio a entrare lì dentro, per
incontrarsi con un altro uomo ? Che ne sapeva lui dei gusti di Matt
Bullard ? Aveva l'incarico di pedinarlo, e quindi doveva farlo fino
in fondo.
Scrollando
il capo sconsolato, Ben varcò la porta di ingresso, si diresse alla
cassa e fece il suo bravo biglietto. Quindi entrò nella sala di
proiezione, guidato dai gemiti e dai sospiri affannosi degli
attori, che si sentivano fin da fuori. Ben entrò nella sala buia e
attese che gli occhi si adattassero all'oscurità. Dopo qualche
minuto fu in grado di vedere intorno a sè e, restando di
fianco alla platea, incominciò a percorrerla con gli occhi alla
ricerca del suo uomo. Man mano che i secondi passavano la sua vista
andava migliorando, e non ci mise molto ad individuare Matt Bullard.
Era solo, a metà di una delle file più arretrate e stava
fissando affascinato le figure che si agitavano sullo schermo.
Ormai
non aveva più dubbi. Bullard era venuto lì solo per quello.
Meglio così, tutto sommato. Ben attese che la scena fosse il più
luminoso possibile, poi scattò altre foto con la micro-macchina.
Non sarebbero state dei capolavori, ma sarebbero state
sufficientemente chiare da risultare intelleggibili. Ben sedette
sospirando su una poltroncina. Non aveva potuto prendere delle
foto mentre Bullard entrava nel locale, ma avrebbe cercato di
prenderne qualcuna mentre usciva. Quindi doveva prepararsi ad
aspettare e, visto che c'era, tanto valeva aspettare lì dentro,
comodamente seduto. Avrebbe tenuto d'occhio Bullard e quando si
fosse alzato per uscire, essendo molto più vicino di lui
all'uscita, l'avrebbe preceduto senza difficoltà.
Buttò lo
sguardo sullo schermo, mentre stavano scorrendo delle scene tra
le più spinte che gli riuscisse di immaginare e si chiese come
diavolo facessero certe attrici ad accettare di fare cose simili.
Boh, affari loro. Certo, per denaro si fa di tutto, a questo
mondo. Ben scosse il capo disgustato e appoggiò il capo sullo
schienale come per riposare, ma restando sempre con gli occhi
fissi sul suo uomo. Non voleva correre il rischio di perderlo
di vista. Ma, se aveva capito il tipo, era sicuro che Matt Bullard
non si sarebbe più mosso di lì fino alla fine del film. Nemmeno
con le cannonate.
* * * * *
Vim Baker
uscì dall'ufficio del Procuratore Distrettuale con una mezza
smorfia sul viso. Era stato piuttosto bravo e, tutto sommato, se
l'era cavata abbastanza bene. Merito della sua abitudine a
mentire, maturata in anni e anni di continuo allenamento. Ma non
c'era più scampo. Il Procuratore Distrettuale era stato cortese,
comprensivo, quasi gentile. Ma aveva capito. Non c'erano dubbi al
riguardo. Nemmeno il rapporto di amicizia lo avrebbe fermato.
Tutt'al più lo avrebbe reso più prudente, più scrupoloso nel
ricercare le prove. Ma ormai il gioco era finito: prima o poi
l'avrebbero incastrato.
Adesso
non aveva più altro da fare che organizzare per bene la sua
uscita di scena. Vim Baker montò in auto e fece cenno all'autista
di portarlo a casa. Stava diventando buio e Baker, comodamente
sprofondato nel sedile posteriore della vettura, cercava di
approfittare del tragitto per riposarsi un poco. Era stata una
giornata dura, in municipio, ed il colloquio col procuratore non era
stato esattamente rilassante. Appoggiò il capo contro lo schienale
e chiuse gli occhi, mentre l'auto di grossa cilindrata, guidata
con mano sapiente, scivolava dolcemente nel traffico.
Baker
cercava di non pensare a nulla, per rilassarsi un po', ma era
impossibile. Senza volerlo la mente funzionava a pieno regime, e
rimuginava senza sosta su quello lo aspettava. C'erano un mucchio
di cose che doveva fare per chiudere la faccenda e non poteva
permettersi il minimo passo falso. Però il "grosso" del
lavoro ormai era stato preparato ed era stato tutto così ben
programmato che gli sembrava impossibile che qualcosa potesse
andare storto.
Alle
otto meno dieci Baker scese dall'auto, congedò l'autista
dicendogli che fino a lunedì non avrebbe più avuto bisogno di lui,
ed entrò nel cancello. Baker viveva in una villetta alla
periferia di Nelson praticamente da solo. Con lui viveva una
donna, Josephine Dumars, che Baker chiamava semplicemente Josie.
Era una signora di colore, di taglia forte, che gli faceva da
cuoca e cameriera, e gli teneva in ordine la casa e i vestiti. Era
più che sufficiente, perchè Baker non aveva famiglia e, con tutti
gli impegni che la sua carica gli imponeva, in casa finiva per
starci assai poco. E comunque non era un tipo difficile
da accontentare. Il venerdì pomeriggio era giornata di riposo per
Josie e infatti Baker si trovò la cena (fredda) già preparata sul
tavolo. Comunque non era un ripiego, perchè Josie era molto brava
in cucina e anche una semplice cena fredda, preparata da lei,
poteva essere assolutamente deliziosa.
Vim
Baker sedette subito a tavola, perchè aveva un certo
appetito, e si gustò la cena, cercando di concentrarsi sul cibo,
senza pensare continuamente a quello che lo aspettava nei giorni
successivi. Poi lasciò la sala da pranzo e si rintanò nel suo
studio, la sua "tana", come la chiamava lui. Si avvicinò
alla scrivania e con mano sapiente toccò una levetta praticamente
invisibile, nascosta in una scanalatura sotto il ripiano del mobile.
Si sentì un colpo secco e una parte del pannello sulla fiancata
della scrivania si aprì. Era la cassaforte segreta di Baker,
quella dove teneva la parte più rilevante dei suoi profitti
illeciti.
Baker
sapeva bene che far passare tutti quei soldi in banca non era
prudente. In banca tutto veniva registrato, ogni movimento
lasciava tracce evidenti. E Baker aveva sempre cercato di
lasciare meno tracce possibili. Così cercava sempre di trasformare
in contanti tutto quello che gli passava per le mani, e poi lo
metteva al sicuro nella sua cassaforte segreta. Baker estrasse un
pacco dal ripostiglio nascosto e lo aprì, per controllare ancora
una volta il suo piccolo tesoro. C'erano quasi 2 milioni di
dollari in contanti, tutti in biglietti di grosso taglio, e poi
Titoli di Stato al portatore, roba anonima e sicura, per altri 3
milioni. In tutto circa 5 milioni di dollari. Non male davvero,
per un povero ex grossista di alimentari sull'orlo del fallimento,
che si era dato alla politica quasi per disperazione.
Ma adesso
la cassaforte non serviva più, doveva andarsene da lì. Prese le
banconote e i titoli, li depose con cura in una scatola di cartone
che aveva preso da un armadio e la richiuse. La ricoprì con due
strati di una spessa carta da pacchi e la legò con un cordino,
che fermò con alcuni piombini. Quindi prese un grosso
pennarello nero e scrisse in stampatello, in modo bel
leggibile, l'indirizzo del destinatario. L'avrebbe spedito
l'indomani mattina a mezzo corriere. Vim Baker non si fidava
troppo della poste americane. Soprattutto quando c'erano di
mezzo 5 milioni di dollari.
* * * * *
Era
piuttosto tardi, quasi le nove, quando finalmente Ben potè
ritornare a casa. Si abbandonò sulla poltroncina e si rivolse al
computer.
- Ci
sono state chiamate per me, oggi, Pico ?
- SI’
UNA.
- Un
cliente ?
- SI’.
HA TELEFONATO IL SIGNOR CHRISTIAN LAETTNER, PRESIDENTE DELLA
ATLANTIC TRUST DI BRISTOW.
- Non
lo conosco. Che voleva ?
- HA UN
INCARICO DA AFFIDARE. DICE CHE E’ PIUTTOSTO DELICATO.
- Bene.
Adoro gli incarichi delicati. Sono quelli che danno più
soddisfazione. Quando vuole vedermi, il signor Laettner ?
- LUNEDI’
POMERIGGIO ALLE ORE DICIASSETTE.
- Dov’è
l’appuntamento ? Da lui ?
- PRESSO
LA SEDE DELLA BANCA.
- So
dov’è. D’accordo, ci andrò. Domattina telefonerò per
conferma. Mettimelo in agenda per le nove.
- APPUNTAMENTO
MEMORIZZATO.
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