domenica 12 gennaio 2014

La tana della volpe - 5

CAP. 5 - Venerdì


Per il secondo giorno di pedinamento, Ben decise di lasciar perdere il bar della sera prima. Ci sarebbe tornato ancora, nei giorni successivi, ma preferiva non andarci per due giorni di fila, per non farsi notare troppo. Non si poteva mai sapere. Posteggiò l'auto all'angolo della strada e vi rimase sopra, fingendo di leggere un giornale, ma senza mai perdere di vista il portone della Eastern National Bank. Poco dopo le cinque e mezzo incominciò la solita uscita in massa degli impiegati. Ben cercava di non perdersi una faccia, perchè Bullard poteva anche decidere di uscire prima del solito.
Alle sei meno venti le uscite incominciarono a diradarsi. Una, due persone al massimo, alla spicciolata. Qualche ritardatario che si era fermato per terminare un lavoro urgente, o semplicemente a finire di chiacchierare con i colleghi. Ben stava già preparandosi mentalmente ad un'altra mezz'oretta di attesa, quando vide spuntare la figura caratteristica di Matt Bullard che usciva impettito come suo solito, salutando con un cenno le guardie giurate. Con calma, per non farsi troppo notare, Ben scese dalla vettura e si inserì tra la folla sul marciapiede per seguire Bullard.
Il suo uomo era uscito prima del solito e Ben sentiva che quello poteva essere il giorno buono. Oltretutto aveva l'impressione che l'uomo camminasse con passo più spedito del giorno prima, come se fosse impaziente di arrivare a destinazione. Arrivato al secondo isolato, Bullard anzichè proseguire diritto, come doveva fare per recarsi a casa, svoltò a sinistra e si diresse verso il centro della città. Certo non voleva dire niente. Magari doveva solo andare a fare compere. Ma Ben sentiva uno strano formicolio sulla schiena, segno che stava per succedere qualcosa.
L'uomo continuò a camminare per la strada principale, poi svoltò ancora, a destra questa volta, verso il dedalo di viuzze che caratterizzavano la zona vecchia della città. Il traffico delle auto non era intenso, ma quello dei pedoni sì, per cui Bullard non poteva andare troppo veloce. Perciò Ben non aveva difficoltà a tenere il contatto visivo, senza correre il rischio di avvicinarsi troppo. Arrivato a metà di Golden Street, Bullard attraversò rapidamente la strada e si infilò sotto i vecchi portici dalla parte opposta. Ben si accorse in tempo della manovra e riuscì a non perderlo.
L'uomo percorse ancora poche decine di metri, poi rallentò il passo, quasi di colpo, si guardò un attimo intorno con un certo imbarazzo, e infine entrò in un grosso portone illuminato alla sua sinistra. Ben, che era sul marciapiede dietro di lui e camminava molto accostato al muro, non poteva vedere bene il posto dove Bullard stava entrando. Però dalla luminosità che usciva dall'ingresso e dall'insegna a colori vivaci che la sovrastava, capì subito che doveva trattarsi di un locale pubblico, un cinema probabilmente. Ben accellerò il passo e in pochi secondi fu davanti al locale. Si trattava proprio di un cinema. Un cinema a luci rosse, per essere precisi.
Ma guarda, si disse Ben. Alzò lo sguardo sull'insegna luminosa e lesse il nome del locale: "BLUE DEVIL", si chiamava. Tirò fuori dalla tasca la micro-macchina fotografica a forma di accendino e scattò alcune foto: una al locale, una all'insegna e un paio ai manifesti del film in programma quel giorno. Ben si fermò un attimo a guardare i manifesti, come se fosse un potenziale spettatore che stava decidendo se entrare o no. Si rese subito conto che proiettavano roba forte, lì. Roba per guardoni di prima categoria.
Si chiese cosa fare a quel punto, ma la risposta era una sola: doveva entrare. Certo, il cinema da solo poteva ampiamente spiegare il comportamento elusivo di Bullard, ma non poteva fidarsi. E se il cinema fosse stata solo una copertura ? Se Matt se ne fosse approfittato per incontrarsi con una donna ? O magari, visto che per una donna ci voleva un bel coraggio a entrare lì dentro, per incontrarsi con un altro uomo ? Che ne sapeva lui dei gusti di Matt Bullard ? Aveva l'incarico di pedinarlo, e quindi doveva farlo fino in fondo.
Scrollando il capo sconsolato, Ben varcò la porta di ingresso, si diresse alla cassa e fece il suo bravo biglietto. Quindi entrò nella sala di proiezione, guidato dai gemiti e dai sospiri affannosi degli attori, che si sentivano fin da fuori. Ben entrò nella sala buia e attese che gli occhi si adattassero all'oscurità. Dopo qualche minuto fu in grado di vedere intorno a sè e, restando di fianco alla platea, incominciò a percorrerla con gli occhi alla ricerca del suo uomo. Man mano che i secondi passavano la sua vista andava migliorando, e non ci mise molto ad individuare Matt Bullard. Era solo, a metà di una delle file più arretrate e stava fissando affascinato le figure che si agitavano sullo schermo.
Ormai non aveva più dubbi. Bullard era venuto lì solo per quello. Meglio così, tutto sommato. Ben attese che la scena fosse il più luminoso possibile, poi scattò altre foto con la micro-macchina. Non sarebbero state dei capolavori, ma sarebbero state sufficientemente chiare da risultare intelleggibili. Ben sedette sospirando su una poltroncina. Non aveva potuto prendere delle foto mentre Bullard entrava nel locale, ma avrebbe cercato di prenderne qualcuna mentre usciva. Quindi doveva prepararsi ad aspettare e, visto che c'era, tanto valeva aspettare lì dentro, comodamente seduto. Avrebbe tenuto d'occhio Bullard e quando si fosse alzato per uscire, essendo molto più vicino di lui all'uscita, l'avrebbe preceduto senza difficoltà.
Buttò lo sguardo sullo schermo, mentre stavano scorrendo delle scene tra le più spinte che gli riuscisse di immaginare e si chiese come diavolo facessero certe attrici ad accettare di fare cose simili. Boh, affari loro. Certo, per denaro si fa di tutto, a questo mondo. Ben scosse il capo disgustato e appoggiò il capo sullo schienale come per riposare, ma restando sempre con gli occhi fissi sul suo uomo. Non voleva correre il rischio di perderlo di vista. Ma, se aveva capito il tipo, era sicuro che Matt Bullard non si sarebbe più mosso di lì fino alla fine del film. Nemmeno con le cannonate.

* * * * *

Vim Baker uscì dall'ufficio del Procuratore Distrettuale con una mezza smorfia sul viso. Era stato piuttosto bravo e, tutto sommato, se l'era cavata abbastanza bene. Merito della sua abitudine a mentire, maturata in anni e anni di continuo allenamento. Ma non c'era più scampo. Il Procuratore Distrettuale era stato cortese, comprensivo, quasi gentile. Ma aveva capito. Non c'erano dubbi al riguardo. Nemmeno il rapporto di amicizia lo avrebbe fermato. Tutt'al più lo avrebbe reso più prudente, più scrupoloso nel ricercare le prove. Ma ormai il gioco era finito: prima o poi l'avrebbero incastrato.
Adesso non aveva più altro da fare che organizzare per bene la sua uscita di scena. Vim Baker montò in auto e fece cenno all'autista di portarlo a casa. Stava diventando buio e Baker, comodamente sprofondato nel sedile posteriore della vettura, cercava di approfittare del tragitto per riposarsi un poco. Era stata una giornata dura, in municipio, ed il colloquio col procuratore non era stato esattamente rilassante. Appoggiò il capo contro lo schienale e chiuse gli occhi, mentre l'auto di grossa cilindrata, guidata con mano sapiente, scivolava dolcemente nel traffico.
Baker cercava di non pensare a nulla, per rilassarsi un po', ma era impossibile. Senza volerlo la mente funzionava a pieno regime, e rimuginava senza sosta su quello lo aspettava. C'erano un mucchio di cose che doveva fare per chiudere la faccenda e non poteva permettersi il minimo passo falso. Però il "grosso" del lavoro ormai era stato preparato ed era stato tutto così ben programmato che gli sembrava impossibile che qualcosa potesse andare storto.
Alle otto meno dieci Baker scese dall'auto, congedò l'autista dicendogli che fino a lunedì non avrebbe più avuto bisogno di lui, ed entrò nel cancello. Baker viveva in una villetta alla periferia di Nelson praticamente da solo. Con lui viveva una donna, Josephine Dumars, che Baker chiamava semplicemente Josie. Era una signora di colore, di taglia forte, che gli faceva da cuoca e cameriera, e gli teneva in ordine la casa e i vestiti. Era più che sufficiente, perchè Baker non aveva famiglia e, con tutti gli impegni che la sua carica gli imponeva, in casa finiva per starci assai poco. E comunque non era un tipo difficile da accontentare. Il venerdì pomeriggio era giornata di riposo per Josie e infatti Baker si trovò la cena (fredda) già preparata sul tavolo. Comunque non era un ripiego, perchè Josie era molto brava in cucina e anche una semplice cena fredda, preparata da lei, poteva essere assolutamente deliziosa.
Vim Baker sedette subito a tavola, perchè aveva un certo appetito, e si gustò la cena, cercando di concentrarsi sul cibo, senza pensare continuamente a quello che lo aspettava nei giorni successivi. Poi lasciò la sala da pranzo e si rintanò nel suo studio, la sua "tana", come la chiamava lui. Si avvicinò alla scrivania e con mano sapiente toccò una levetta praticamente invisibile, nascosta in una scanalatura sotto il ripiano del mobile. Si sentì un colpo secco e una parte del pannello sulla fiancata della scrivania si aprì. Era la cassaforte segreta di Baker, quella dove teneva la parte più rilevante dei suoi profitti illeciti.
Baker sapeva bene che far passare tutti quei soldi in banca non era prudente. In banca tutto veniva registrato, ogni movimento lasciava tracce evidenti. E Baker aveva sempre cercato di lasciare meno tracce possibili. Così cercava sempre di trasformare in contanti tutto quello che gli passava per le mani, e poi lo metteva al sicuro nella sua cassaforte segreta. Baker estrasse un pacco dal ripostiglio nascosto e lo aprì, per controllare ancora una volta il suo piccolo tesoro. C'erano quasi 2 milioni di dollari in contanti, tutti in biglietti di grosso taglio, e poi Titoli di Stato al portatore, roba anonima e sicura, per altri 3 milioni. In tutto circa 5 milioni di dollari. Non male davvero, per un povero ex grossista di alimentari sull'orlo del fallimento, che si era dato alla politica quasi per disperazione.
Ma adesso la cassaforte non serviva più, doveva andarsene da lì. Prese le banconote e i titoli, li depose con cura in una scatola di cartone che aveva preso da un armadio e la richiuse. La ricoprì con due strati di una spessa carta da pacchi e la legò con un cordino, che fermò con alcuni piombini. Quindi prese un grosso pennarello nero e scrisse in stampatello, in modo bel leggibile, l'indirizzo del destinatario. L'avrebbe spedito l'indomani mattina a mezzo corriere. Vim Baker non si fidava troppo della poste americane. Soprattutto quando c'erano di mezzo 5 milioni di dollari.

* * * * *

Era piuttosto tardi, quasi le nove, quando finalmente Ben potè ritornare a casa. Si abbandonò sulla poltroncina e si rivolse al computer.
- Ci sono state chiamate per me, oggi, Pico ?
- SI’ UNA.
- Un cliente ?
- SI’. HA TELEFONATO IL SIGNOR CHRISTIAN LAETTNER, PRESIDENTE DELLA ATLANTIC TRUST DI BRISTOW.
- Non lo conosco. Che voleva ?
- HA UN INCARICO DA AFFIDARE. DICE CHE E’ PIUTTOSTO DELICATO.
- Bene. Adoro gli incarichi delicati. Sono quelli che danno più soddisfazione. Quando vuole vedermi, il signor Laettner ?
- LUNEDI’ POMERIGGIO ALLE ORE DICIASSETTE. 
- Dov’è l’appuntamento ? Da lui ?
- PRESSO LA SEDE DELLA BANCA.
- So dov’è. D’accordo, ci andrò. Domattina telefonerò per conferma. Mettimelo in agenda per le nove.
- APPUNTAMENTO MEMORIZZATO.

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