È facile infatti mostrare l’incompatibilità tra conoscenza critica e
ideale dell’uguaglianza assoluta: la conoscenza prende sul serio ciò che
esiste; ma ciò che esiste è sempre determinato, cioè differente, dunque
la conoscenza deve per sua natura valorizzare la differenza; invece
l’esigenza di uguaglianza assoluta nasce dall’insoddisfazione per ciò
che esiste, proprio perché esso è determinato, differente; essa è dunque
incompatibile con il presente, in fuga volontaristica verso il futuro.
L’odio ugualitario della conoscenza si esprime in molti modi, non solo
come disprezzo teologico della ragione per attenersi alla rivelazione,
ma anche come insofferenza illuminista della metafisica e della teologia
e infine come rifiuto marxista della filosofia. Stretta da tanti
giganti, la conoscenza può confidare più sulle cose, che sugli uomini.
La polemica astiosa contro il liceo classico, perché era fondato sul
principio della conoscenza critica, è stata portata avanti non solo dal
pragmatismo borghese, ma soprattutto dalle ideologie ugualitarie: dai
comunisti che gli rinfacciavano il classismo, e dagli illuministi, che
gli rinfacciavano il nozionismo e il tradizionalismo. I decreti delegati
che hanno inteso democratizzare la scuola sono stati voluti dal PCI.
Luigi Berlinguer, che con l’autonomia ha inferto il decisivo colpo
d’ariete alla scuola italiana, viene dal PCI e ha goduto il sostegno
entusiasta della CGIL, federazione dei lavoratori della conoscenza.
Proprio nel momento in cui lasciavano i lavoratori
esposti alla pressione neoliberale, gli ex-comunisti lenivano i propri
sensi di colpa restando fedeli a sé stessi nell’unico campo in cui era
loro consentito. Le buone intenzioni di fare della scuola non più una
caserma autoritaria e oppressiva, ma il nido in cui gli insegnanti,
scesi dalla cattedra, facessero da animatori della spontaneità già
matura di ogni alunno, sono state la pelle d’agnello sotto la quale i
lupi dell’ugualitarismo hanno espulso il rigore della conoscenza
critica.
Così l’aristocratica severità gentiliana si è dissolta e la
democrazia matriarcale è divenuta impercettibilmente il principio unico e
inderogabile della pedagogia: è perché ogni bambino ha diritto di
esprimere la sua ricca spontaneità che essi non sanno più impugnare la
penna, e se sanno leggere non capiscono quello che leggono; è la
preoccupazione di impedire le disuguaglianze che suggerisce agli
insegnanti la rinuncia all’insegnamento, che induce i consigli di classe
e le commissioni d’esame alle più sottili psicologie pur di promuovere
anche l’ignoranza più beata, indifferenti alle conclusioni che gli
alunni ne trarranno – che sia tutto regalato, che non serva impegno, che
il successo scolastico sia un diritto naturale come l’amore materno e non occorra meritarlo con l’adempimento dei doveri.
Il degrado della scuola a causa dell’odio ugualitario per la
conoscenza non è una novità della nostra epoca, ma il riprodursi di un
antico errore. Nella scuola pubblica, creata dall’assolutismo
illuminato, la rivoluzione francese scorse uno strumento di educazione
civile, vale a dire di preformazione totalitaria dei singoli. (...)
Rifluiti nell’illuminismo
come forma originaria del messianismo secolarizzato dopo la loro
catastrofe storica, gli ex-comunisti hanno ripreso il sogno giacobino e
hanno fatto della scuola un falansterio per l’educazione ideologica, il
benessere, l’avviamento professionale dei suoi assistiti, che evita
l’odiosa istruzione per timore di affaticarli o frustrarli. Poiché
l’ugualitarismo dell’ignoranza non comporta evidenti espropriazioni,
anzi compensa con i diletti della pigrizia, solo la saggezza poteva
preoccuparsi della decadenza dell’elemento aristocratico
dell’istituzione; ma è mancata o le è mancato il coraggio; infatti solo
pochi hanno resistito.
La scuola assistenziale finge gli alunni uguali e li lascia uguali.
Una scuola pubblica che si rispettasse riconoscerebbe una doppia
disuguaglianza: quella iniziale del talento e quella finale della
preparazione; dovrebbe dare di più a chi ha avuto meno dalla natura e dal caso:
stargli più accanto per abituarlo alla disciplina che quello non sa
imporsi da solo, perché raggiunga comunque il livello teoretico
necessario al cittadino. Una scuola pubblica che si rispettasse dovrebbe
esaltare il talento, anzitutto rispettando ciò che per il talento ha
valore: la conoscenza disinteressata, la severità dell’impegno, la
finezza del gusto, e poi coltivandolo in modo che giunga al virtuosismo.
SOLLEVAZIONE